Si parla molto, da un po’ di tempo a questa parte, di bufale, fake news (le notizie false) e post-verità. Se non c’è settore dell’informazione che ne sia esente, la questione diventa particolarmente seria quando riguarda le informazioni sanitarie, con in più l’inconveniente che chiunque abbia accesso alla rete può accedere alle informazioni, veicolarle (magari condividendole sui social), e produrne di proprie (magari senza avere le competenze necessarie). Come orientarsi all’interno di questo scenario?
Si parla molto, da un po’ di tempo a questa parte, di bufale, fake news (le notizie false) e post-verità (il fenomeno per cui, indipendentemente da qualsiasi verifica e controllo dei fatti, accettiamo come vero e diamo per scontato ciò che ci colpisce emotivamente e ciò che le persone che condividono la nostra “cerchia” dicono, ripetono e condividono). Se non c’è settore dell’informazione che ne sia esente, la questione diventa particolarmente seria quando riguarda le informazioni sanitarie, con in più l’inconveniente che chiunque abbia accesso alla rete può accedere alle informazioni, veicolarle (magari condividendole sui social), e produrne di proprie (magari senza avere le competenze necessarie). Come orientarsi all’interno di questo scenario?
Provo a buttar giù qualche indicazione, certamente non esaustiva, ma che può aiutare ad affinare lo spirito critico e a selezionare, tra le tante informazioni, quelle degne di attenzione.
Prima di procedere però è necessario fare nostro il principio di considerare attendibili solo le informazioni sanitarie prodotte dalla medicina basata sull’evidenza (ovvero, basata su prove di efficacia), giacché non è razionale né prudente, specie in materia di salute, prendere per buone informazioni non validate scientificamente. Le considerazioni che seguono scaturiscono da questa premessa.
Una prima indicazione consiste nel constatare che chi non è medico solitamente non ha le competenze sufficienti a valutare correttamente un’informazione sanitaria: questo non significa che non dobbiamo cercare/leggere informazioni sanitarie, ma, più semplicemente, che prima di prenderle per buone è meglio confrontarsi col proprio medico o con uno specialista. Sarebbe un’indicazione ovvia, ma, purtroppo, spesso viene disattesa.
Una seconda indicazione consiste nel chiedersi se chi ha prodotto l’informazione è un esperto dell’area medica, un professionista qualificato o, ancora meglio, un istituto di ricerca riconosciuto. Se questo requisito è soddisfatto abbiamo maggiori possibilità che l’informazione sia corretta e attendibile. Se invece questo requisito non è soddisfatto, dobbiamo mettere in conto di sottoporre l’informazione alla verifica di un esperto o più esperti del settore di pertinenza (ad esempio, un otorino di solito è meno competente di un oncologo se dobbiamo valutare informazioni sul trattamento dei tumori). Molte persone per informarsi fanno riferimento a soggetti con situazioni analoghe (ad esempio, con la stessa patologia, o lo stesso tipo di disabilità), persone che parlano per esperienza diretta, con le quali è facile instaurare un rapporto personale e nelle quali trovare supporto emotivo. Se consideriamo che la persona non è la propria patologia o la propria disabilità, e che né una malattia né una condizione possono essere ridotte alla sola dimensione sanitaria, questi confronti possono essere molto utili e proficui, purché si tenga presente che chi fornisce le informazioni di solito non può garantirne l’accuratezza scientifica, e anche che l’esperienza personale può combinarsi con elementi soggettivi che ne influenzano la percezione e, dunque, anche la sua narrazione.
Supponiamo che il secondo requisito sia stato soddisfatto, e, dunque, che l’informazione di cui disponiamo sia stata prodotta da soggetti competenti abilitati ad esprimersi sulla materia, allora possiamo prendere l’informazione per buona? Non ancora, ad esempio dovremmo chiederci se chi ha prodotto l’informazione si trova in una situazione di conflitto d’interesse: se, sempre ad esempio, il soggetto che rimarca i benefici di un farmaco, e ne minimizza gli effetti collaterali, è lo stesso che lo produce e lo vende, forse sarebbe meglio verificare la reale efficacia del prodotto rivolgendosi a soggetti ugualmente competenti ma che non hanno alcun interesse conflittuale nell’orientare la scelta dei pazienti. Se l’informazione che dovete valutare è presa da un sito, è importante capire chi finanzia il sito: chi agisce con onestà intellettuale solitamente fornisce queste informazioni e garantisce una certa trasparenza.
Ulteriori elementi da considerare sono la presenza di una data di aggiornamento, di riferimenti bibliografici, e di un recapito di riferimento. La data ci può dire se un’informazione è ancora attuale, o se, essendo stata prodotta mesi o anni addietro, potrebbe essere stata superata da nuove evidenze scientifiche. I riferimenti bibliografici garantiscono la verificabilità delle informazioni: se mancano sia una data che “uno straccio di fonte”, è consigliabile passare oltre. Anche la presenza di un recapito di riferimento è importante: per quanto ci si sforzi di scrivere in modo chiaro, non tutte le persone hanno le stesse competenze linguistiche e/o di comprensione dei testi, e chi si trova in difficoltà dovrebbe sempre avere la possibilità di chiedere spiegazioni, e anche adeguate garanzie di riservatezza.
Proprio in considerazione delle oggettive difficoltà delle persone ad orientarsi nel mare di informazioni sanitarie, molti enti che forniscono informazioni di questo tipo hanno scelto di soddisfare i requisiti di trasparenza che, in linea di massima, ho esposto in modo discorsivo. Pertanto, se in un sito trovate un bollino con scritto “HONcode” (acronimo di Health On the Net code), vuol dire che quel sito ha deciso di rispettare i principi necessari a garantire l’affidabilità dell’informazione medica in rete, e questo è certamente un requisito di qualità.
Altri aspetti importanti consistono nell’imparare a riconoscere i vantaggi e gli svantaggi delle diverse fonti informative (ad esempio, degli articoli divulgativi sui giornali, dei libri di testo, delle brochure tematiche…), nell’identificare i contenuti delle notizie e valutarne il livello di prova, la rilevanza, l’esaustività e la qualità della divulgazione. Chi vuole approfondire questi aspetti può utilizzare un ottimo supporto: la scheda “Che cosa vuol dire Informati bene”, pubblicata nel portale «PartecipaSalute».
Qualcuno, non ricordo chi, una volta mi disse che “la prima cura è una buona informazione”. Forse la buona informazione da sola non è sufficiente a curare, ma è sicuramente un ingrediente indispensabile per qualunque buona cura. Non solo in ambito sanitario.
Simona Lancioni
Responsabile del centro Informare un’h di Peccioli (PI)
Ultimo aggiornamento: 5 dicembre 2017
Ultimo aggiornamento il 6 Dicembre 2017 da Simona