Loredana Ligabue, segretaria dell’Associazione CARER – Caregiver Familiari Emilia-Romagna e responsabile della Cooperativa sociale Anziani e non solo.
Io mi limiterò a sviluppare il tema che mi è stato affidato inerente l’esperienza dell’Emilia Romagna e dunque non esaminerò il testo del Disegno di Legge che al Senato è stato depositato dal Senatore Angioni [DDL 2266, N.d.R.], e che rispecchia pienamente la nostra filosofia e la nostra esperienza.
Vi illustro il percorso che abbiamo compiuto in Emilia Romagna e come e perché da questo è nata una proposta di Legge nazionale. Mi sono presentata a voi con due ruoli, e mi sembra importante spiegarvi il perché. Il perché è che il percorso che noi abbiamo realizzato a partire dal 2004 è iniziato attraverso la “Cooperativa sociale Anziani e non solo”, (con sede in Emilia-Romagna, a Carpi) e poi successivamente grazie al lavoro svolto in termini di rapporto con familiari che si prendono cura nel 2013, è nata anche l’Associazione di promozione sociale Carer. La Cooperativa Anziani e non solo, in modo un po’ anomalo rispetto al mondo della cooperazione, non gestisce in modo diretto servizi alla persona, ma si occupa delle problematiche e degli impatti della società dell’invecchiamento, con particolare riferimento al fabbisogno di cura. Quindi, sin dalla sua costituzione, nel 2004, abbiamo cercato di comprendere gli effetti del cambiamento demografico sulla realtà del nostro Paese, e cosa questo significava per le persone anziane, per la loro condizione e prolungamento di vita, in termini di non autosufficienza, che cosa significava per chi assisteva ed era vicino a queste persone in un contesto di relazione affettiva, o in un contesto di tipo professionale. Sulla base di ciò abbiamo cercato di capire cosa succedeva nel contesto europeo, abbiamo studiato buone pratiche, sviluppato relazioni…. (il primo Paese europeo a legiferare sui familiari che si prendono cura è stata l’Inghilterra, e lo ha fatto – dopo un forte dibattito già negli anni 90’ – con il “Carers Act” del 2004. Tutta la normativa successiva, compresa la importantissima riforma fatta nel 2014 con il Care Act, discende da quel primo intervento).
Nel frattempo nella nostra regione, nel 2007, avviene un fatto molto importante: l’istituzione del Fondo regionale per la non autosufficienza (un fondo di circa 500 milioni di euro). Questo fondo, mirato alla non autosufficienza, offre la possibilità ai Comuni di fare interventi anche verso i caregiver familiari. Sottolineo con forza l’importanza della vicinanza, della stretta vicinanza degli enti locali, delle istituzioni e dei servizi professionali con i familiari. Noi pensiamo infatti che sia assolutamente importante non dare una lettura del caregiver in se e per sé, perché questa non consente di uscire da una condizione, come quella in molti territori oggi, di assoluta necessità da parte dei familiari di essere a tempo superpieno impegnati in azione di cura. Ricordiamo che, in base alla normativa vigente, le competenze in ambito sociale, socio-sanitario e socio-assistenziale sono delle regioni. Per contro ci sono ambiti sui quali le regioni non possono intervenire in quanto di competenza statale: sono gli ambiti di tipo fiscale, di tipo lavoristico… Ma andiamo avanti a vedere come si sviluppa l’esperienza in Emilia-Romagna, la prima nel nostro Paese, e una delle prime in Europa, a dotarsi di una Legge sul riconoscimento del ruolo del familiare che si prende cura come componente della rete di welfare. Il nostro percorso inizia dunque dieci anni fa (nel 2007) quando si comincia ad agire a sostegno del familiare che si prende cura, partendo da un territorio dove c’erano sindaci più sensibili, amministrazioni più attente, operatori professionali che avevano essi stessi avuto esperienza di caregivering…. Come cooperativa abbiamo presentato una proposta ai Comuni del nostro territorio: sviluppare interventi mirati a prendersi cura di chi si prende cura. Come? In primo luogo realizzando degli incontri a finalità formativa. Ciò per consentire ai caregiver familiari di incontrarsi tra loro, di dialogare con dei professionisti, di fare emergere dei bisogni, capire meglio quali sono i servizi e come usarli, dare strumenti per assistere meglio, sapendo che l’amore che si mette nel rapporto di cura è fondamentale, ma se io non so, ad esempio, come movimentare una persona o come accompagnarla nella deambulazione, rischio di fare danni a me e all’assistita. Attraverso, tali iniziative, i caregiver familiari cominciano ad avere consapevolezza di un minimo comune denominatore di bisogni. Cosa è emerso in questi incontri? L’isolamento sociale e la solitudine del familiare che si prende cura; la perdita delle relazioni amicali; la complessità della gestione delle relazioni familiari; la perdita delle relazioni sociali; la mancanza di punti di riferimento; la difficoltà a fare fronte alle diverse dimensioni della cura: fisica, materiale, emotiva, relazionale, organizzativa, etica…; la complessità delle decisioni da assumere; la paura di non farcela; il forte stress. Cosa fare davanti a questo tipo di bisogni, tenendo presente anche il tema dell’impoverimento economico delle famiglie, nelle quali, se si rinuncia al lavoro per dare cura, non solo ci sono più spese, ma anche minori entrate? Come fare per dare una risposta strutturale ai bisogni connessi ad un ruolo come quello del caregiver familiare? Noi pensiamo che lo Stato da solo e le regioni da sole non possono ricoprire delle funzioni e dei compiti che devono vedere in campo responsabilità familiari. Ma nemmeno le responsabilità familiari da sole sono sufficienti. “Dare diritto di cittadinanza a chi si prende cura del proprio caro”: questo per noi è uno slogan forte. Quindi abbiamo cercato di capire cosa è stato fatto e come in altri Paesi. Per noi è stata una grande lezione ascoltare e comprendere il percorso realizzato, a partire dagli anni 50’, dalla associazione dei caregiver inglesi. Da loro nasce in Europa la promozione e realizzazione dei Caregiver Day. Loro ci hanno spiegato l’importanza di queste giornate rivolte ai caregiver.
Abbiamo così dato il via nel maggio 2011 al primo caregiver day italiano. Una giornata dedicata a parlare di chi si prende cura. A parlare insieme familiari, volontari, amministratori, operatori professionali: insieme, perché problema non solo di singole persone, ma di comunità. Occorre una consapevolezza diffusa che l’attuale sistema di welfare non può reggere nella società dell’invecchiamento: con sempre meno gente che lavora, e sempre più gente che ha e avrà bisogno di assistenza. In occasione del Caregiver day abbiamo chiamato a parlare anche un’esponente di Carers UK, e la gente ha capito che era un discorso nuovo, che era una svolta, e che se su questa svolta avessimo ragionato, forse avremmo potuto fare qualcosa di importante per la nostra realtà, per milioni di persone che oggi noi abbiamo la responsabilità morale di aiutare, e anche per lasciare ai nostri figli e alle nostra figlie un sistema di welfare che risponda realmente ai bisogni. Abbiamo il dovere civile di agire per il cambiamento, per trasformare la società e lasciare un’eredità diversa sapendo che le Leggi riconoscono dei diritti solo a partire dal momento in cui vengono adottate. E dunque noi stiamo lavorando per il futuro, per i nostri figli e i nostri nipoti. Dal 2011, a cadenza annuale andiamo avanti con la realizzazione delle nostre giornate, di eventi dedicati ad affrontare le problematiche della cura, per ragionare, per decidere cosa fare, e per valutare cosa è stato fatto. Decidiamo di andare avanti per dare visibilità al ruolo, spesso invisibile, del familiare che si prende cura; per favorire una maggiore consapevolezza pubblica sulle tematiche del dare cura in famiglia; per promuovere un’azione sul piano individuale, sociale, di governo a sostegno dei diritti dei familiari che si prendono cura. Queste sono le finalità del caregiver day individuate nel 2011, ed inserite nell’articolato del Disegno di Legge Angioni. Quindi si tratta eventi e momenti che servono a creare il terreno sul quale ragionare insieme, decidere gli interventi da fare, assumersi responsabilità. Sulla base di questo, nel 2011, cominciamo – con i caregiver day –, a lavorare in rapporto con le associazioni di patologia che sostengono i familiari e a loro diciamo: “attenzione, se continuate lavorare ognuno sulla singola patologia, non facciamo massa critica, non facciamo minimo comune denominatore”. Ora, fermo restando che ogni patologia ha delle specificità, cerchiamo di capire cosa ci unisce. A tal fine, nel 2013, diamo vita all’Associazione CARER – Caregiver Familiari dell’Emilia Romagna, di cui sono segretaria, alla quale aderiscono singoli familiari ed associazioni. CARER diventa il luogo e lo strumento per rappresentare dei bisogni. Quali sono state le tappe: nel 2011 sono iniziati i caregiver day, e nel 2012 è stata approvata una risoluzione unanime dell’assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna a sostegno del caregiver familiare. In questa risoluzione l’assemblea regionale ha chiesto alla Giunta: “che cosa state facendo per i caregiver familiari? Come possiamo fare di più per i caregiver nel nostro territorio?”. Il Consiglio regionale inoltre ha chiesto alla regione di agire sul Governo nazionale perché lo Stato si impegni sugli ambiti di competenza nazionale. Nel 2013 la regione riconosce il caregiver day come un importante occasione di confronto tra caregiver, istituzioni, servizi, associazionismo… e lo trasforma in un appuntamento regionale. Nel 2014 viene approvata dalla regione Emilia-Romagna, su nostra proposta, la Legge Regionale 2/2014, “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare (persona che presta volontariamente cura ed assistenza)”. Dopo il 2014 la nuova assemblea legislativa si mette in campo, con un grande percorso di lavoro che coinvolge diversi soggetti, per dare attuazione alla legge. Ma vediamo cosa dice la Legge Regionale. Queste le finalità: “all’interno delle politiche di welfare e del sistema regionale di servizi sociali, socio-sanitari e sanitari: riconoscere e promuovere le cure familiari e la solidarietà; riconoscere e valorizzare il ruolo sociale del caregiver familiare e tutelarne i bisogni”. Perché prima c’è il riconoscimento delle cure familiari e della solidarietà? Perché non c’è dubbio che c’è un grande bisogno di welfare community e di welfare di prossimità, e occorre essere in grado di mettere in campo tutte le risorse presenti sul territorio, non solo i servizi. Inoltre la Legge Regionale definisce chi è il caregiver familiare: “il caregiver familiare è la persona che volontariamente, in modo gratuito e responsabile, si prende cura nell’ambito del piano assistenziale individualizzato di una persona cara consenziente, in condizioni di non autosufficienza o comunque di necessità di ausilio di lunga durata, non in grado di prendersi cura di sé.” Mi soffermo sul “gratuito” perché noi siamo fermi nel ritenere che se accettiamo che si monetizzi il lavoro di cura (cash for care), allora per le donne può significare tornare indietro rispetto al proprio percorso di emancipazione. Noi siamo certi che tanti familiari siano in un atteggiamento di positività e amore, ma sappiamo anche che esistono situazioni complesse, spesso conflittuali, e allora la volontà va espressa, occorre che si sia consenzienti rispetto a chi si prende cura di noi. Va espressa ovviamente nei modi definiti dalla Legge (amministratore di sostegno) quando la persona non è in grado di farlo in modo autonomo. È sempre difficile e pesante trovarsi nella situazione di prendersi cura di una persona fragile, ma se questa situazione ha una durata limitata, perché magari ha un contesto temporale definito, allora cambia l’impatto sulla persona che presta cura. Il caregiver familiare non è il sostituto dell’operatore professionale: dove sono necessarie cure professionali, devono entrare in campo i servizi territoriali. Dove abbiamo lavoro privato di cura come nel caso delle assistenti familiari, la famiglia deve essere aiutata in termini economici, e in termini di ricerca di persone competenti, formate e selezionate.
Nella Legge regionale si parla del rapporto con i servizi sociali, socio-sanitari e sanitari. Noi abbiamo incontrato centinaia di familiari ai quali è stato comunicato che il congiunto aveva il morbo di Alzheimer, aveva questo, aveva quell’altro… ma questa informazione non fa capire a quel familiare e a quella famiglia a cosa va incontro, cosa l’aspetta, come si deve attrezzare. Le diagnosi sono troppo spesso espresse in termini specialistici, non in termini comprensibili al familiare, e troppo spesso non viene esplicitata una prognosi.
Per questo nella Legge è stabilito che i servizi sociali dei Comuni e i servizi delle Aziende sanitarie riconoscono il caregiver familiare come un elemento della rete del welfare locale; e ad esso “forniscono un’informazione puntuale ed esauriente sulle problematiche di cui soffre la persona assistita, sui bisogni assistenziali e le cure necessarie, sui criteri di accesso alle prestazioni sociali, socio-sanitarie e sanitarie, sulle diverse opportunità e risorse operanti sul territorio che possono essere di sostegno all’assistenza e alla cura; promuovono iniziative di informazione ed orientamento, fra cui la realizzazione di guide informative relative a servizi ed iniziative pubbliche e private a sostegno del caregiver familiare”.
Il caregiver familiare, esprime in modo libero e consapevole la disponibilità a svolgere la propria attività volontaria di assistenza e cura, ad avvalersi di supporti formativi e di forme di integrazione con i servizi sociali, socio-sanitari e sanitari.
Allo scopo di favorire il mantenimento della persona assistita al proprio domicilio, il caregiver familiare, previo consenso della persona cara assistita, deve essere coinvolto in modo attivo nel percorso di valutazione, definizione e realizzazione del PAI (Piano Assistenziale Individualizzato). Il PAI esplicita il contributo di cura e le attività del caregiver familiare nonché le prestazioni, gli ausili, i contributi necessari ed i supporti che i servizi sociali e sanitari si impegnano a fornire.
Altro elemento: le rappresentanze dei caregiver sono sentite nell’ambito della programmazione sociale, socio-sanitaria e sanitaria (ai sensi L.R. 2/2003). Ad esempio, noi, come CARER, non siamo solo nella commissione istituita per fare le Linee attuative della Legge, ma anche in quella per migliorare le prestazioni dei servizi semiresidenziali e residenziali, insieme agli operatori professionali, naturalmente, portando la voce dei familiari caregiver.
La Regione, nei limiti delle risorse disponibili: promuove forme di sostegno economico attraverso l’erogazione dell’assegno di cura e di interventi economici per l’adattamento domestico, come previsto nell’ambito della normativa vigente per i contributi per la non autosufficienza, anche alle persone assistite domiciliarmente dai caregiver familiari. Essa inoltre può favorire accordi con le rappresentanze delle compagnie assicurative che prevedano premi agevolati per la copertura degli infortuni o della responsabilità civile collegati all’attività prestata nel PAI.
In Emilia Romagna abbiamo messo a punto il patto regionale per il lavoro, che è stato siglato nel 2015, ed è un patto nel quale sono stati inseriti elementi che riguardano come favorire una conciliazione tra la vita lavorativa ed il lavoro di cura. E su questo stiamo facendo tanti incontri e confronti con le organizzazioni sindacali, e con le parti sociali per fare in modo che. ad esempio, gli interventi messi in campo con la defiscalizzazione dei premi di produzione e il welfare aziendale, non riguardino solo i lavoratori della singola azienda, ma rientrino in una dimensione territoriale.
Le Legge regionale stabilisce anche che devono essere fatti programmi di aggiornamento degli operatori sociali, socio-sanitari e sanitari sui temi legati alla valorizzazione dei caregiver familiari. I Comuni e le AUSL, nei limiti delle risorse disponibili, assicurano al caregiver familiare: a) l’informazione, l’orientamento e l’affiancamento nell’accesso ai servizi necessari ai fini assistenziali; b) la formazione e l’addestramento finalizzati al corretto svolgimento del lavoro di cura;c) il supporto utile ad evitare l’isolamento ed il rischio di burnout, anche attraverso l’attivazione di reti solidali, il supporto psicologico e la partecipazione a gruppi di auto mutuo aiuto di caregiver familiari; d) la definizione del responsabile delle cure nell’ambito del PAI della persona assistita; e) l’individuazione di soluzioni condivise nelle situazioni di emergenza personale od assistenziale con possibile piano per fronteggiare l’emergenza o qualora la situazione imprevista assuma carattere di stabilità; f) il sollievo di emergenza e di tipo programmato; g) la domiciliarizzazione delle visite specialistiche nei casi di difficoltà di spostamento dell’assistito.
Tra questi interventi, quello della gestione delle emergenze e degli imprevisti è uno dei primi e più sentiti bisogni espressi dai caregiver familiari.
Dopo la Legge abbiamo provveduto a predisporre le Linee attuative. Dall’esperienza regionale emiliana, è nata l’idea di avanzare una proposta nazionale depositata al Senato dal senatore Angioni e alla Camera dall’Onorevole Patriarca.
Nota: la presente relazione è stata esposta nell’ambito del seminario «Il riconoscimento del caregiver familiare», tenutosi a Peccioli il 29 settembre 2017.
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Ultimo aggiornamento: 30 ottobre 2017
Ultimo aggiornamento il 30 Ottobre 2017 da Simona