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Abolire l’impossibile

di Maria Cristina Pesci*

«[…] quando smettiamo di accettare che l’esperienza fin qui adottata sia la norma, tutto cambia: ciò che sembrava oggettivo mostra i suoi limiti. Le leggi, le regole, i canoni — tutti nati in un mondo che ascolta solo una voce – e che sembravano inevitabili, si possono sgretolare e acquistano una nuova credibilità le proteste a questa visione», scrive Maria Cristina Pesci, medica e psicoanalista, in questa eccellente riflessione incentrata prevalentemente sui criteri di esclusione delle ospiti con disabilità adottata dalla quasi totalità delle Case rifugio italiane, ma che allarga lo sguardo anche alla nuova disciplina sul Progetto di Vita e al dibattito sulla deistituzionalizzazione.

«Le strade rinnovate e quelle costruite con nuove visioni, alimentano il senso di speranza e abbiamo tantissimo bisogno di speranza», scrive Maria Cristina Pesci. L’immagine raffigura una farfalla bianca che si posa sul palmo di una mano femminile (foto di Daria Nekipelova su Pexels).

«”[…] la libertà rende felici” […] ancora oggi – contravvenendo a tutta la normativa nazionale e internazionale che spinge verso la deistituzionalizzazione – c’è chi va sostenendo che ci sono persone adatte a vivere nel mondo di tutti e tutte, e altre non adatte. Ma […] non ci sono persone inadatte alla libertà, inadeguato ed ingiusto è invece chi, sostenendo il contrario, viola, o permette che venga violato, il diritto di ogni individuo di vivere nella comunità di appartenenza in condizioni di uguaglianza con le altre persone», ha scritto Simona Lancioni (La verità politica di Bobò: non ci sono persone inadatte alla libertà, «Informare un’h», 16 dicembre 2025).

Da questa lettura così sentita ed emozionante hanno preso forma diversi pensieri e diversi collegamenti di storie e persone.
Si possono ritrovare intrecciati temi come i criteri di esclusione delle donne con disabilità dalle Case rifugio o dai Centri antiviolenza (CAV) [si veda: “Dati Istat 2023: aumentano le Case rifugio che adottano criteri di esclusione delle ospiti”, «Informare un’h», 6 giugno 2025, N.d.R.] insieme alla nuova disciplina sul Progetto di Vita per le persone con disabilità [definita dal Decreto Legislativo 62/2024, N.d.R.], che dovrebbe avviarsi dal 2027, insieme al grande dibattito, molto spesso minato dall’interno, sulla deistituzionalizzazione delle persone con disabilità [si veda: “Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone”, «Informare un’h», 20 giugno 2025, N.d.R.].

Nel suo libro The Mother of All Questions. Further Feminisms (Granta Books, 2017), Rebecca Solnit scrive:
«Perché la verità è questa: tutto ciò che sembra eterno è stato costruito.
E se è stato costruito, si può cambiare.
Perché quel che sembra ordine sociale spesso è solo una lunga, antica, riuscita censura.
Quando non hai le parole, non puoi difenderti».

Se cambiamo il contesto rispetto al libro di Solnit e parliamo delle donne con disabilità che subiscono discriminazioni multiple come conseguenza della loro difficoltà, ecco che ogni cosa trova in modo impeccabile un’analoga lettura.

Se è stato costruito, ed è stato veramente costruito, un decalogo che esclude le donne con disabilità o con particolari necessità di sostegno e assistenza personale, dalle Case rifugio e dai Centri antiviolenza, con la motivazione che non esistono finanziamenti che possano rendere questi presidi accessibili, allora siamo chiamate e chiamati a cambiare un’impostazione così esplicitamente contraria all’etica e all’uguaglianza di tutte le donne.
Soprattutto possiamo usare la voce e le parole per ciò che sembra inevitabile e normale, soltanto perché con le persone con disabilità si è fatto così da tanto tempo: vedi anche il citato dibattito sull’istituzionalizzazione, solo per fare un altro esempio.

«C’è uno scarno insegnamento della teoria della Gestalt che afferma: l’oggetto preso di mira, sia esso un atto percettivo, un apprendimento, un sistema fisiologico o un puzzle di legno non è una somma di elementi […] ma un insieme, una forma cioè, una struttura: non sono gli elementi a determinare l’insieme, ma l’insieme a determinare la conoscenza del tutto e delle sue leggi […] conta solo la possibilità di collegare quel pezzo ad altri pezzi, in questo senso… i pezzi ricomposti assumeranno un carattere leggibile, acquisteranno un senso: isolato il pezzo di un puzzle non significa niente; è semplicemente domanda impossibile, sfida opaca», argomenta Georges Perec (La vita istruzioni per l’uso, Rizzoli, 2005, pag. 7).

Credo che se si scompongono i pezzi del puzzle che riguardano il supporto alle donne che subiscono violenza, comprendendo anche le donne con disabilità, ogni pezzo a sé non ha più senso, è staccato, senza connessione e quindi senza responsabilità e senza conflitti da affrontare alla pari.
Nella catena di questa destrutturazione delle opportunità, il tassello finale, cioè il  riconoscimento dei diritti delle donne con disabilità, si trova senza contesto a cui connettersi e quindi senza speranza di cambiamento, addirittura togliendo a queste donne la sensazione che abbia senso farsi visibile e protestare per l’esclusione legalizzata e dichiarata come inevitabile.
Ma quando smettiamo di accettare che l’esperienza fin qui adottata sia la norma, tutto cambia: ciò che sembrava oggettivo mostra i suoi limiti. Le leggi, le regole, i canoni — tutti nati in un mondo che ascolta solo una voce – e che sembravano inevitabili, si possono sgretolare e acquistano una nuova credibilità le proteste a questa visione.
Le risposte che descrivono come inevitabile questa scelta sono diventate stereotipate, sembrano casuali. Non lo sono. Sono trappole e gabbie invisibili che servono a controllare la libertà delle donne, le loro emozioni, le loro possibili scelte.

Scardiniamo l’ordine anche all’interno dello stesso mondo delle donne che sono impegnate a combattere la violenza.

Un altro pensiero dirompente di Solnit: «Il silenzio non è pace. Zittire qualcuno non significa armonia. Significa solo che si è riusciti a spegnere la sua voce».

Possiamo anche dire di più: anche quando hai le parole e disobbedisci all’ordine muto di non esagerare, di non chiedere troppo, di non creare problemi e non far sentire la tua voce di dissenso, facilmente ti ritrovi ad essere oggetto di svalutazione, scatta la pratica di essere delegittimata. Proprio in ragione di quello che invece ti farebbe pensare che hai il diritto di chiedere e di fare ascoltare una conoscenza che viene dall’esperienza, ti puoi trovare a vivere una espropriazione di ciò che conosci e che hai approfondito non solo per te stessa, ma per tutte le persone coinvolte e per le donne tutte.
Nasce un paradosso che sembra quasi inspiegabile: proprio perché hai una disabilità, proprio perché sei una donna, proprio perché sei una donna con disabilità: sei inopportuna se chiedi troppo, se non sei sufficientemente grata per non lamentarti, se non ti fai sottomessa, se proponi un’alternativa spiazzante che non molla sulla libertà.
Non ci sono persone adatte alla libertà e persone non adatte, non ci sono persone sopra le quali è meglio cucire vestiti speciali, case speciali, amori speciali, bisogni speciali, gabinetti speciali, senza mettere tutte le volte in discussione la dimensione etica e politica.
Sono in gioco il riconoscimento di uguali diritti di scelta, di trattamento, di soluzioni e di adattamenti possibili.
È devastante l’equazione che ancora si fa per cui maggior bisogno di sostegno e maggiore presenza di difficoltà, uguale a minore impegno a rispettare la persona e la sua libertà di vivere e di esprimere che cosa desidera.
Ciò in cui si ricade è la dichiarazione che le persone che hanno più bisogno di essere supportate, sono quelle che per definizione devono avere meno pretese, devono essere più comprensive degli sforzi che si sono fatti “per loro”.
Le violenze psicologiche che così si mettono in atto, non sono e non possono mai essere “inevitabili” a causa della presenza di una condizione di difficoltà, che sia sul piano motorio, cognitivo, psichiatrico, familiare.
Lo spunto che nasce dalla discussione in atto riguardante i criteri di esclusione delle donne che subiscono un qualche genere di violenza e discriminazione e che presentano un qualche tipo di difficoltà o di disabilità, è un formidabile strumento di lavoro per decostruire un’argomentazione che legittima la freddezza dell’essere lasciate fuori dalla porta.
È sicuramente la messa in atto di una violenza psicologica.
In più sappiamo che le violenze psicologiche hanno sempre una ricaduta anche sul piano concreto, così come le violenze concrete, sul corpo e sulla materialità del vivere, hanno sempre anche una ricaduta sul piano emotivo e psicologico. Di conseguenza, ragioniamo dunque sul piano di essere proprietarie del proprio corpo e dell’essere vivi e vive, dentro relazioni e legami.
Non abbassiamo la testa se non per qualche attimo di brivido dentro di sé e continuiamo ad opporci di fronte a qualsiasi criterio di esclusione, a meno che il criterio di esclusione riguardi la volontà di cancellare l’opzione di chiudere la porta di fronte a qualcuna di noi, qualunque sia la nostra situazione. A meno che il criterio di esclusione riguardi allontanare chiunque si muova senza rispetto, correttezza, ascolto, coinvolgimento, o più semplicemente senza gentilezza e reciprocità.
Chi di noi sarebbe accondiscendente rispetto alla possibilità di essere esclusa/escluso dallo studiare, dal lavorare, dall’abitare, dal fare sesso, dal bisogno di essere aiutate, di trovare rifugio, di ricominciare con le opportunità che nascono dalle relazioni umane? Poi a volte le relazioni umane possono diventare relazioni di affetto e felicità.

Jan Grue, nel libro La mia vita come la vostra (Iperborea, 2025), scrive:
«Raccontare una storia segreta, se parla di te, significa riprenderti il mondo.
[…] ma ho imparato a padroneggiare la tecnica. Che significava trovare il mio posto nel mondo. Ho imparato che esistono tanti cerchi all’infuori di quello più interno, ho imparato l’arte del possibile».

Così può succedere che, a partire da un criterio codificato, approvato e condiviso di esclusione, come quello redatto per regolamentare l’accoglienza delle donne con disabilità nelle Case rifugio o nei Centri antiviolenza, sì può arrivare all’arte del possibile.

Le strade rinnovate e quelle costruite con nuove visioni, alimentano il senso di speranza e abbiamo tantissimo bisogno di speranza. Abbiamo bisogno di non dare per scontate le soluzioni pensate fino a qui e abbiamo bisogno di quella morbidezza che viene dalla possibilità di modellare le cose passo dopo passo, insieme alle persone e non sulle persone.

Congiungendo questi temi con quello del Progetto di Vita, parte integrante della cosiddetta Riforma della disabilità [Legge 227/2021, N.d.R.], chi di noi vorrebbe ricevere per se stesso e se stessa qualcosa che potrebbe facilmente diventare una specie di “firma in bianco”, senza capire e sapere cosa potrà capitargli o capitarle più avanti nel tempo, quando avrà vent’anni, quando ne compirà 50, quando più avanti ancora nel tempo sarà una persona anziana, con tutti i cambiamenti che questo comporta, nella quotidianità di ciascuna e ciascuno di noi?
Nutrire la possibilità di progettare a partire dalla libertà e dal rispetto, è indispensabile per far fiorire inaspettate motivazioni.
Molti sottolineano che più ci si incontra, più le separazioni potrebbero poi essere dolorose.
Credo proprio sia vero, ma è vero anche il piacere che a volte nasce dal superamento di questa paura di incontrarsi e che consente così di costruire nuovi accordi, come nuove musiche.
Luoghi e spazi interdetti, viceversa, minano alla radice il desiderio di vivere e di partecipare.
Tutto qui.

 

* Medica, psicoanalista e componente dell’équipe del Centro Antiviolenza contro multidiscriminazioni delle donne con disabilità dell’AIAS di Bologna (Associazione Italiana Assistenza Spastici) e dell’Associazione MondoDonna, anch’essa di Bologna.

 

Vedi anche:

Campagna di sensibilizzazione: Non c’è posto per te! – Campagna di sensibilizzazione in tema di violenza di genere , «Informare un’h», 2023-2025.

Campagna di sensibilizzazione:  Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone, «Informare un’h», 20 giugno 2025.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

 

Ultimo aggiornamento il 22 Dicembre 2025 da Simona