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Un “Manifesto femminista e transfemminista” per un’alleanza contro la violenza patriarcale e ogni forma di oppressione

Lo scorso 25 novembre è stato reso pubblico il “Manifesto femminista e transfemminista” per un’alleanza contro la violenza patriarcale e ogni forma di oppressione, un documento politico in dieci punti promosso dalla Rete D.i.Re. in collaborazione con movimenti, associazioni e organizzazioni femministi e transfemministi. Nel testo si parla anche di femminismo intersezionale, donne con disabilità e abilismo. E tuttavia ci sono degli aspetti che non convincono del tutto.

“All oppressioni is connected!” (“Tutte le oppressioni sono collegate!”). Illustrazione prodotta dal regista, fotografo, cantautore e artista visivo keniota Jim Chuchu nel 2013.

Ogni anno sono davvero tanti gli eventi di varia natura in qualche modo collegati alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che ricorre il 25 novembre, ma che viene celebrata sia a novembre che a dicembre. Tra le numerose iniziative proposte ce n’è una che, se concretamente attuata, potrebbe davvero imprimere una svolta al contrasto alla violenza contro le donne. Mi riferisco al Manifesto femminista e transfemminista per un’alleanza contro la violenza patriarcale e ogni forma di oppressione divulgato lo scorso 25 novembre (esso è disponibile in formato PDF al seguente link).

Si tratta di un documento promosso da D.i.Re. – Donne in Rete contro la violenza che scaturisce da un «dialogo tra movimenti, associazioni e organizzazioni con posizionamenti femministi e transfemministi diversi fra loro». Partendo dagli assunti che la violenza di genere non sia «un fatto privato, ma un problema strutturale, radicato nel patriarcato e nelle disuguaglianze di potere tra uomini e donne», che essa sia «una questione pubblica e collettiva», e che contrastarla significhi «agire un ribaltamento strutturale delle relazioni economiche, sociali e culturali su cui si fonda la società», il Manifesto chiama «a raccolta le donne e le soggettività che riconoscono la natura e l’origine della violenza nella disparità di potere tra uomini e donne e nel patriarcato». Riporto in calce l’elenco dei soggetti (enti e singole persone) che hanno contribuito alla sua stesura.

Quella che viene proposta è una rivoluzione «femminista, transfemminista e intersezionale» delle relazioni che, riconoscendo la pluralità degli sguardi e lo sforzo corale che ha permesso l’elaborazione del Manifesto, vede nell’alleanza femminista e transfemminista la chiave per cambiare il mondo. «Vogliamo aprire un dialogo e tessere un’alleanza tra donne, soggettività femministe, tra tutte le persone e tutte le realtà che riconoscono la violenza contro le donne come violazione dei diritti umani, per costruire insieme una società libera, giusta e fondata sull’uguaglianza tra tutte e tutti», è scritto nella premessa.

Le coordinate politiche del cambiamento culturale e politico necessario a creare una società libera dalla violenza sono tracciate attraverso dieci punti che trattano i seguenti temi: I Centri antiviolenza; Contro le retoriche di Governo; Responsabilità del sistema; Responsabilità maschile; Educazione e relazioni; Quali politiche?; Intersezionalità della violenza; Controllo dei corpi; Militarizzazione, colonizzazione e guerra; Tante parole, pochi fatti.

Qualche considerazione

Va certamente salutato con favore che movimenti, associazioni e organizzazioni con posizionamenti molto distanti – soprattutto in tema di transfemminismo – abbiano scelto di aprire un dialogo per tessere un’alleanza contro la violenza contro le donne. A livello personale ho sempre ritenuto incoerente che alcuni soggetti afferenti ai femminismi non riuscissero a riconoscere nell’oppressione che colpisce le persone transessuali la stessa matrice patriarcale che sta alla base della violenza contro le donne. Dunque questa è certamente una prima novità positiva.

Tuttavia, occupandomi da tanti anni di donne con disabilità, ed anche della violenza nei loro confronti, c’è un secondo aspetto che ha attirato in modo particolare la mia attenzione: i riferimenti al femminismo intersezionale, alle stesse donne con disabilità e all’abilismo.

Già nella premessa la rivoluzione delle relazioni auspicata è definita «femminista, transfemminista e intersezionale». Più avanti (al punto 5) vi è un richiamo in tema di educazione che, appunto, «deve essere intersezionale: capace di riconoscere e valorizzare la pluralità delle esperienze e delle soggettività, mettendo al centro libertà, consenso e rispetto reciproco come valori fondativi». All’intersezionalità della violenza è inoltre dedicato un intero punto (il punto 7) ed un richiamo ad essa figura anche nella frase conclusiva del Manifesto: «Continueremo a tessere alleanze, a denunciare la violenza patriarcale in tutte le sue forme, per costruire una società giusta, libera e intersezionale, fondata su autodeterminazione, sorellanza e libertà per tutte e tutti» (pagina 29).

Venendo alle donne con disabilità, i molteplici livelli di violenza e discriminazione a cui esse sono esposte sono richiamati nella premessa: «Riconosciamo la pluralità delle esperienze e le differenze territoriali, economiche e sociali, garantendo l’esigibilità dei diritti soprattutto alle donne migranti, alle razzializzate, e alle donne con disabilità, che assumono molteplici livelli di violenza e discriminazioni». La questione torna nella parte dedicata alle politiche pubbliche (punto 6) che, tra le altre cose, devono «considerare le disuguaglianze territoriali, linguistiche e culturali e i limiti imposti dal permesso di soggiorno, in particolare nel caso in cui vi siano ricongiungimenti familiari, che incidono sull’accesso ai diritti delle donne migranti, delle donne con disabilità, delle donne razzializzate e di tutte le soggettività marginalizzate». Nel già menzionato punto 7, in tema di intersezionalità della violenza, si parla anche di disabilità e abilismo: «Povertà, giovane età o anzianità, orientamenti sessuo-affettivi non eterosessuali, identità di genere non conformi alla norma patriarcale, processi di razzializzazione, razzismo istituzionale, disabilità e società abilista, neurodiversità, neurodivergenza e psichiatrizzazione sono dimensioni che, lette in chiave intersezionale, permettono di prevenire, riconoscere e contrastare la violenza contro le donne e la violenza di genere. Solo riconoscendo come il patriarcato si intrecci con razzismo, classismo, abilismo, omolesbobitransfobia e logiche coloniali è possibile comprendere la complessità della violenza e agire per trasformarla».

Eppure c’è qualcosa che non torna. Nella parte dedicata al controllo dei corpi (punto 8), ad esempio, si rivendica – giustamente – il diritto all’aborto libero, sicuro e gratuito ed anche l’autodeterminazione dei corpi femminili e femminilizzati come principio politico universale. Tuttavia non vi è alcun cenno al fatto che spesso le donne con disabilità sono esposte a una discriminazione di segno opposto: loro in genere non hanno difficoltà ad accedere all’aborto, ma alla maternità, ed anche questa è una forma di controllo dei corpi femminili. Quando si parla di militarizzazione, colonizzazione e guerra (punto 9), altro esempio, ci si scorda di dire che la guerra ha un impatto sproporzionato sulle persone con disabilità, e sulle donne disabili in particolare, e che la guerra stessa può essere considerata una “fabbrica di disabilità”, con tutto quello che ne consegue. Infine, anche scorrendo i nomi dei soggetti che hanno contribuito alla stesura del Manifesto non riesco ad individuarne di specificamente impegnati nel settore della disabilità. Dunque l’impressione che ne ricavo è che le donne con disabilità siano state citate ma non siano state coinvolte, e che pertanto non si siano potute autorappresentare. È così?

Questa è solo la mia impressione, ci tengo a precisarlo, spero di sbagliarmi. Visto che il Manifesto promosso da D.i.Re., ben volentieri, come Centro Informare un’h, accoglieremo un’eventuale replica sulla questione sollevata.

Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa)

 

Nota: la formattazione delle citazioni testuali non corrisponde a quella originale.

 

Estremi dell’opera:

[Manifesto femminista e transfemminista]. La libertà insieme. Per un’alleanza femminista e transfemminista contro la violenza patriarcale e ogni forma di oppressione, [a cura di] D.i.Re. – Donne in Rete contro la violenza et al., 25 novembre 2025, 32 pagine, formato PDF.

 

Soggetti che hanno contribuito alla stesura del Manifesto femminista e transfemminista.

D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza
con
ActionAid Italia
ALFI – Associazione Lesbica Femminista Italiana
Ambiente Sociocultural International
Antigone Pavia
ASI Calabria
Assemblea Donne del Coordinamento Migranti
Be Free
Casa delle Donne – Sportello Antiviolenza di Jesi
Centro Antiviolenza Marielle Franco – Alessandria
Centro di cultura delle donne Hannah Arendt di Teramo
CinematograFica
Codice Kairòs APS
Conferenza Nazionale Donne Democratiche
Conferenza Donne Democratiche, Ferrara
Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emila Romagna
Educare alle Differenze
Liberas Cagliari
Forum Donne Amelia
GiuridicaMente Libera
NonUnaDiMeno
NonUnaDiMeno Siena
Nuova Società Futura Per i diritti di donne, madri e minori
Period Think Tank
Poliredis collettivo
Rete di Donne per la Politica
Rete femminista Marche Molto più di 194
RISING – Pari in Genere
Rumorossə
Scosse – Soluzioni COmunicative Studi Servizi Editoriali APS
UDI Bologna
UDI Ferrara
UDI Genova
UDI Reggio Calabria
UDI Carpi

Azzaro Angela
Busi Beatrice
Canitano Lisa
Cipolloni Giada
Del Pomo Erika
Maltese Felicetta
Mancinelli Patrizia
Proia Francesca
Renzi Angelica
Rocco Zdenka
Ruggerini Maria Grazia
Sozzani Ida Paola
Toffanin Angela Maria
Vicinanza Carmen

 

Vedi anche:

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “La violenza nei confronti delle donne con disabilità”.

Sezione del centro Informare un’h dedicata al tema “Donne con disabilità”.

 

Ultimo aggiornamento il 9 Dicembre 2025 da Simona