di un Gruppo di persone con disabilità e loro alleate
«“Siamo tutti un po’ disabili” è uno slogan respinto da decenni nei disability studies perché cancella le differenze tra chi subisce discriminazioni e chi quelle discriminazioni le produce o le tollera. Disabile non è un aggettivo poetico: è una posizione politica e sociale definita dall’incontro tra corpi e menti non considerati conformi e barriere materiali e culturali»: è questa una delle critiche sollevate da Gruppo di persone con disabilità e loro alleate in questa lettera aperta indirizzata al Direttore de «La Stampa» riguardo allo speciale che il quotidiano ha pubblicato lo scorso 3 dicembre. Un’iniziativa realizzata nell’àmbito della Giornata internazionale delle persone con disabilità. La lettera aperta alla sottoscrizione di chi ne condivide i contenuti*.

Gentile Direttore Malaguti,
mercoledì 3 dicembre, Giornata internazionale delle persone con disabilità, la nostra comunità ha visto sulle pagine de «La Stampa» crollare in poche ore anni di discussioni sulla rappresentazione, sul linguaggio e sulla prospettiva abilista che ancora permea il discorso pubblico.
A scriverle è un Gruppo di persone con disabilità e alleate che lavora in ambiti diversi, con competenze in DEIA [Diversità, Equità, Inclusione, Appartenenza, N.d.R.]. Siamo lettrici e lettori del suo giornale, professioniste e professionisti, cittadine e cittadini che vivono ogni giorno le conseguenze di come i media scelgono di raccontare – o di non raccontare – la disabilità.
Vogliamo essere chiari: non mettiamo in discussione gli intenti dell’iniziativa, né tanto meno il valore sportivo e umano di Bebe Vio Grandis e il suo impegno per l’accessibilità delle pratiche sportive per le persone con disabilità. Il problema è una scelta editoriale precisa: affidare la “direzione” di un numero dedicato ai diritti di una comunità oppressa e discriminata a una campionessa paralimpica che, comprensibilmente, non ha una visione complessiva sulla disabilità, né competenze specifiche nella comunicazione sul tema. Altrettanto grave è aver escluso giornaliste, studiosi, attiviste e professionisti con disabilità che da anni lavorano su questi temi e li vivono collettivamente dentro la comunità. È una scelta che risulta, inevitabilmente, abilista.
Le conseguenze sono nella copertina. “Siamo tutti un po’ disabili” è uno slogan respinto da decenni nei disability studies perché cancella le differenze tra chi subisce discriminazioni e chi quelle discriminazioni le produce o le tollera. Disabile non è un aggettivo poetico: è una posizione politica e sociale definita dall’incontro tra corpi e menti non considerati conformi e barriere materiali e culturali.
L’altra frase, “Fatti dire che è impossibile e dimostra che puoi farcela”, trasforma la Giornata dei diritti in un manifesto motivazionale: se ce la fai è merito della tua forza di volontà, se non ce la fai è responsabilità tua. Scompaiono le barriere, le disuguaglianze territoriali, il divario economico e l’assenza di servizi che frenano ogni giorno migliaia di persone con disabilità.
Questo spostamento dal collettivo all’individuale può rassicurare, ma non fa bene alla nostra causa. La parola diritti viene evitata, sostituita da storie edificanti, che non disturbano. Si oscura proprio ciò che la giornata dovrebbe richiamare: obblighi, responsabilità, doveri concreti.
L’Italia viene descritta come un Paese “molto avanti”, sulla base di impressioni personali. Eppure, i dati Istat raccontano altro: persone con disabilità più isolate, più povere, meno occupate, con minore accesso a trasporti, cultura, servizi essenziali. Non è un dettaglio: è un’emergenza sociale.
Per questo ci rivolgiamo a lei, Direttore, e alla redazione de «La Stampa». A chi ha deciso, scritto, titolato. Chiediamo conto di una linea che, invece di usare il 3 dicembre per fare informazione rigorosa su diritti negati, politiche assenti e barriere da abbattere, ha preferito un racconto consolatorio, centrato su una generica “sensibilità” del Paese, privo di conflitto e responsabilità.
Queste non sono scelte neutre. Un giornale come il vostro contribuisce a formare l’immaginario con cui la società penserà alla disabilità nei prossimi anni. Se viene presentata come un percorso “sempre bello”, dove basta l’impegno individuale, le discriminazioni sistemiche scompaiono. E chi reclama diritti rischia di essere percepito come esagerato, ingrato, “troppo arrabbiato”.
Mettere una persona con disabilità in copertina non basta. Riempire un numero speciale di buone intenzioni non risolve nulla.
Non chiediamo applausi: chiediamo responsabilità.
Siamo persone con disabilità e pretendiamo che, quando si parla di noi, si parli soprattutto dei nostri diritti.
* Chi desidera sottoscrivere la lettera aperta, può farlo al seguente link.
Ultimo aggiornamento il 9 Dicembre 2025 da Simona