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Stella Maris e la violenza che chiamiamo cura

di Samuele Pigoni*

Prendendo spunto dalla sentenza di primo grado del processo per maltrattamenti nei confronti di persone autistiche avvenuti nel 2016 nella struttura di Montalto di Fauglia, gestita dalla Fondazione Stella Maris di Pisa, Samuele Pigoni osserva come «la cultura della disumanizzazione della persona con disabilità continui a permeare tanto i servizi quanto le aule di giustizia. A questa cultura si salda l’idea che la violenza, se esercitata nel contesto della cura, possa essere giustificata».

Opera astratta in bianco e nero che raffigura dei volti umani (foto di Hayan su Pexels).

Dieci condanne, cinque assoluzioni. Nove anni dopo i fatti, il processo per maltrattamenti nella struttura di Montalto di Fauglia, gestita dalla Fondazione Stella Maris di Pisa, si chiude con una sentenza di primo grado (Tribunale di Pisa, 4 novembre 2025): la giustizia è amministrata, ma l’ingiustizia resta senza riparazione finché non sia risolta alla radice.

Le intercettazioni video dei Carabinieri hanno documentato 284 episodi di violenza su minori e giovani con disabilità: urla, strattoni, umiliazioni, percosse. Sono stati condannati 10 operatori della struttura – con pene comprese tra 2 anni e 9 mesi e 4 anni e 1 mese di reclusione — mentre 5 imputati, tra cui le figure mediche apicali, sono stati assolti. Fondazione Stella Maris, in quanto responsabile civile, è stata condannata al risarcimento dei danni in solido con gli operatori, con la quantificazione rinviata alla sede civile.

Ancora una volta ci domandiamo quale sistema renda possibile tutto questo, e continui a produrre violenza nel nome della cura e della protezione.

Come ha denunciato il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa (Maltrattamenti? Al massimo “eccesso di mezzi di correzione”. Tappeti contenitivi? “Un presidio di civiltà”…, «Superando», 17 ottobre 2025), durante le udienze alcuni avvocati difensori hanno sostenuto che i comportamenti ripresi dalle telecamere non fossero «maltrattamenti», ma «un eccesso di mezzi di correzione». C’è stato chi, di fronte a 284 episodi di percosse e vessazioni, ha domandato alla corte di «definire la parola maltrattamento» (inutile citare i precedenti celebri). E c’è stato chi – come ricorda il Collettivo – ha perfino descritto l’uso dei tappeti Ikea per ‘arrotolare’ gli ospiti come strumento dolce di contenimento. Una difesa che non solo offende le vittime e le loro famiglie, ma mostra quanto la cultura della disumanizzazione della persona con disabilità continui a permeare tanto i servizi quanto le aule di giustizia.

A questa cultura si salda l’idea che la violenza, se esercitata nel contesto della cura, possa essere giustificata. Ne è rappresentazione in Italia l’altra questione paradigmatica: quella della contenzione meccanica ancora praticata nel 90% dei reparti psichiatrici ospedalieri. La mancanza di un sistema nazionale di monitoraggio – e i silenzi delle regioni nell’invio dei dati – rende invisibile la reale entità del fenomeno, che continua a essere giustificato come misura di sicurezza anziché riconosciuto come violenza istituzionale. Sembra infatti che solo il 6% dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura opera in modalità no-restraint.

Questa ambiguità tra cura e violenza è il cuore del draft report sulla violenza contro le persone con disabilità negli istituti, redatto dall’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali (FRA) discusso in un panel di esperti e istituzioni a Vienna il 21–22 ottobre e in via di pubblicazione nei prossimi mesi [si veda: Stefano Borgato, “Possibili azioni di prevenzione, protezione e risposta alla violenza negli istituti per persone con disabilità”, «Informare un’h», 30 ottobre 2025, N.d.R.]. Da trenta Paesi europei arrivano testimonianze che sembrano provenire dallo stesso luogo: «Mi davano le medicine e dovevo prenderle. Se chiedevo perché, dicevano che non capivo» (Portogallo); «Essere permanentemente curato da estranei è una forma di violenza» (Irlanda); «La dipendenza da un contesto ti rende fragile» (Italia). Un testimone sloveno riassume: «L’istituzione stessa è violenta: chi vi entra, prima o poi, ne sarà colpito».

Il report utilizza la metafora della casa per descrivere la struttura istituzionale: un edificio fondato su «muri di mancanza di risorse, pareti di inconsapevolezza e tetti di violenza esplicita». Le fondamenta – scrive la FRA – poggiano su una cultura sociale che continua a considerare le persone con disabilità come «oggetti di cura», non come soggetti di diritto.

Come ha ricordato Giampiero Griffo, in Italia 284.781 persone con disabilità vivono in istituto, quasi 80.000 in strutture con più di cento posti letto. Nel 98% dei casi si tratta di luoghi «che non riproducono condizioni di vita familiari» e quindi potenzialmente segreganti e a rischio di violenza [si veda: Giampiero Griffo, “La istituzionalizzazione in Italia, storia, dati e prospettive”, «Informare un’h», 14 febbraio 2025, N.d.R.]. Di fronte a questi numeri due aspetti risultano centrali: il monitoraggio delle strutture da un lato, e il progressivo superamento delle stesse dall’altro.

In questa prospettiva, l’Italia ha compiuto un passo rilevante con la Legge 227/2021 e il successivo Decreto legislativo 62/2024, che introducono il progetto di vita personalizzato e partecipato e istituiscono [con il Decreto legislativo 20/2024, N.d.R.] il Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità, operativo dal 1° gennaio 2026.

Due dispositivi centrali, che nelle intenzioni del legislatore mirano a orientare l’intero sistema dei sostegni verso l’autodeterminazione, il riconoscimento della capacità legale e di scelta, e la base comunitaria quale misura di libertà, uguaglianza e progettazione della vita. In particolare, l’istituzione del Garante, costituisce un avanzamento importante, che potrà però avere valore reale solo se sostenuto da autonomia effettiva, monitoraggi delle strutture regolari e rendicontati pubblicamente, risorse adeguate e non da ultimo dalla partecipazione delle persone con disabilità e delle loro organizzazioni indipendenti di rappresentanza e autorappresentanza.

La Commissione Europea, nella sua Guidance on Independent Living and Inclusion in the Community, afferma che il diritto alla vita indipendente implica la possibilità di scegliere dove e con chi vivere e di ricevere i sostegni necessari «to participate fully in community life, preventing any form of isolation or segregation» [in italiano: “a partecipare pienamente alla vita della comunità, prevenendo ogni forma di isolamento o segregazione”, N.d.R.]. Il documento vieta di destinare fondi europei al mantenimento o alla ristrutturazione di istituti e impone agli Stati membri di investire in servizi abitativi diffusi, assistenza personale e monitoraggio indipendente. Ogni progetto finanziato deve dimostrare di promuovere la libertà di scelta, l’accesso ai diritti e la partecipazione delle persone con disabilità alla valutazione dei risultati.

Ma come sappiamo bene, tra la norma e la sua piena attuazione si apre uno spazio di lavoro culturale e professionale ancora profondo. È qui che diventa fondamentale puntare su una riforma complessiva delle metodologie di lavoro a fianco delle persone, capace di integrare i diritti umani come fondamento delle pratiche educative, pedagogiche e di orientamento. Non si tratta solo di cambiare linguaggio, ma di trasformare gli strumenti e le relazioni: passare da modelli di assistenza a modelli di emancipazione, in cui la cura coincide con la libertà e l’educazione con la possibilità di scegliere la propria vita.

Come ricordava Franco Basaglia, «non si tratta di cambiare un’istituzione, ma di cambiare il rapporto che lega l’uomo all’altro uomo nel momento in cui lo si aiuta» (Franco Basaglia, “La maggioranza deviante”, in Scritti II. 1968–1980, a cura di Franca Ongaro Basaglia, Torino: Einaudi, 1982).

 

* Segretario Generale della Fondazione Time2 di Torino. Il presente testo è già stato pubblicato sulla testata «HuffPost», e viene qui ripreso, con lievi adattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

 

Vedi anche:

Spotlight. Storia di Mattia – Il più grande processo per maltrattamenti ai disabili in Italia, inchiesta di «RaiNews 24» pubblicata su «Rai Play» il 31 agosto 2023 (lunghezza del filmato: 28,35 minuti).

Marino Lupi, I maltrattamenti attuati nelle strutture per persone disabili non sono qualcosa che riguarda solo le vittime e le loro famiglie, 9 novembre 2025.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Pisa: maltrattamenti su persone autistiche. Le considerazioni del Collettivo Artaud dopo la sentenza, 9 novembre 2025.

Marino Lupi, Sentenza per i maltrattamenti alla Stella Maris: la delusione delle famiglie. «Perché continuiamo a costruire istituti?», 7 novembre 2025.

Processo per i maltrattamenti alla Stella Maris, la voce delle famiglie delle vittime, 3 novembre 2025.
Autori vari, È attesa per il 4 novembre la sentenza di primo grado del processo per i maltrattamenti alla Stella Maris, 30 Ottobre 2025
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Definisci maltrattamento, 17 ottobre 2025.
Autori variPisa, ventesimo presidio in solidarietà alle vittime dei maltrattamenti alla Stella Maris, 15 settembre 2025.
Sondra Cerrai, Processo per i maltrattamenti alla Stella Maris, il report delle ultime due udienze, 23 luglio 2025.
Autori vari, Diciannovesimo presidio per chiedere la verità sulle violenze alla Stella Maris, 15 luglio 2025.
Sondra Cerrai, Il processo sui maltrattamenti alla Stella Maris e la microfisica del potere, 26 giugno 2025.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Galleria degli orrori. La banalità del male al processo Stella Maris, 19 giugno 2025.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Per non dimenticare le vittime dei maltrattamenti alla struttura gestita dalla Stella Maris, 13 giugno 2025.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Ancora un presidio per i maltrattamenti alla Stella Maris e per dire basta all’uso del tappeto contenitivo, 26 maggio 2025.
Sondra Cerrai e Andrea Giordani, Nuovo Ospedale Stella Maris: la privatizzazione della sanità e le ombre sulla Fondazione, 2 maggio 2025.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Contenzioni praticate in Toscana, al via la campagna “Date i numeri”, 30 aprile 2025.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Un presidio per i maltrattamenti alla Stella Maris e il pulmino donato, 13 febbraio 2025.

 

Ultimo aggiornamento il 15 Novembre 2025 da Simona