di Maria Rosaria D’Oronzo*
Giorgio Antonucci è stato un medico, un poeta, uno scrittore, uno psicanalista e, soprattutto, uno dei più autorevoli punti di riferimento dell’antipsichiatria in Italia. Ben volentieri ospitiamo questo contributo della psicologa Maria Rosaria D’Oronzo che, essendosi formata professionalmente con Antonucci, ne propone un ritratto che mette in luce i principi etici che hanno ispirato il suo lavoro e la sua eredità. L’approccio no-psichiatrico radicale, la deistituzionalizzazione, il riconoscimento della cittadinanza e la modalità inclusiva ne fanno, secondo D’Oronzo, un precursore della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.

Il lavoro del medico e psicoterapeuta Giorgio Antonucci (1973-1996) al Reparto Autogestito di Imola non è stata una riforma, ma un approccio no-psichiatrico radicale, fondato sulla piena dignità umana e anticipatore del diritto internazionale e delle pratiche sistemiche moderne.
Antonucci, allievo di Roberto Assagioli [psichiatra, teosofo e fondatore della psicosintesi, N.d.R.] e vincitore del Premio Thomas Szasz, vedeva il disagio non come “malattia mentale”, ma come crisi esistenziale da affrontare con il dialogo tra pari, respingendo ogni forma di coercizione (TSO [trattamento sanitario obbligatorio, N.d.R.], contenzione) e la diagnosi come pregiudizio etichettante.
La sua prassi fu il compimento dei suoi principi etici:
De-istituzionalizzazione e Cittadinanza (Ante Litteram della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità)
Chiamato a Imola nel 1973, Antonucci chiese il reparto più duro (Reparto 14). La sua prima azione fu etica e immediata: slegare le donne e restituire gli abiti civili. Successivamente, nel Reparto Autogestito, compì l’atto legale più radicale: scrisse nelle cartelle cliniche che tutti gli ex degenti erano in buona salute psicofisica, abolendo di fatto il loro status di “internati”.
Questa azione ristabilì la loro piena capacità giuridica (articolo 12, Uguale riconoscimento dinanzi alla legge, della Convenzione ONU) ed è la pratica ante litteram del diritto alla libertà e integrità.
Dialogo Aperto e Inclusione (Cultura e Cura)
Il suo modello terapeutico era basato sull’ascolto continuo e la non-coercizione, un chiaro precursore del moderno Dialogo Aperto (Open Dialogue).
L’inclusione era culturale:
- Gli ex degenti avevano le chiavi del reparto.
- Furono organizzati eventi con la città: concerti di musica classica (Andrea Passigli, Aldo D’Amico – violoncello) e pop (Francesco Baccini), vernissage con artisti fiorentini guidati da Piero Colacicchi e la testimonianza letteraria di Dacia Maraini.
L’arte e il dialogo erano la restituzione dell’identità sociale.
L’Eredità: Il Processo e la Convenzione ONU
La pressione istituzionale culminò nel processo del 1991, che mirava a processare il principio stesso della libertà. Nonostante l’assoluzione, il Pubblico Ministero fece appello, evidenziando la persistente ostilità verso il suo approccio.
La sua lotta per i diritti economici (pensione, salario per il lavoro) e l’abitazione autonoma riflette pienamente gli articoli 27 (Lavoro e occupazione) e 28 (Adeguati livelli di vita e protezione sociale) della Convenzione ONU.
Il Reparto Autogestito è la prova concreta che la visione di Antonucci non era un’utopia, ma la pratica anticipata dei diritti umani in psichiatria. Il suo lascito dimostra che la sofferenza merita dialogo, dignità e libertà, e non repressione medica.
* Psicologa, fondatrice e coordinatrice del Centro di Relazioni Umane di Bologna, nonché componente del Direttivo dell’Associazione Diritti alla Follia. Il presente testo è già stato pubblicato sul sito dell’Associazione Diritti alla Follia, e viene qui ripreso, con lievi adattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.
Nota: il Centro Informare un’h è impegnato nel rivendicare la promozione della deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione. Temi su cui si è avviato un confronto pubblico. In calce alla pagina Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone (in aggiornamento) sono segnalati i contributi che di volta in volta si stanno susseguendo.
Vedi anche:
Centro di Relazioni Umane di Bologna.
Archivio di Giorgio Antonucci.
Associazione Diritti alla Follia.
Se mi ascolti e mi credi, un docufilm del 2017 sulla vita di Giorgio Antonucci, del regista Alberto Cavallini (lunghezza: 57.03 minuti).
Ultimo aggiornamento il 24 Ottobre 2025 da Simona