L’istituzionalizzazione non ha più alcuna base giuridica (la norma più alta in grado – la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità – la vieta), né etica (il Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità l’ha definita una «pratica discriminatoria» e «una forma di violenza nei confronti delle persone con disabilità»), né empirica (gli studi evidenziano una sistematica violazione dei diritti umani di chi vi è sottoposto), ma chi siede ai tavoli istituzionali sembra orientato a mantenerla in vita. La qual cosa pone qualche interrogativo sulla legittimazione della rappresentanza.

All’inizio di settembre il Centro Informare un’h ha pubblicato un testo sulla normalizzazione del maltrattamento all’interno delle strutture residenziali per le persone anziane e con disabilità. Si tratta di un processo che impedisce che il maltrattamento stesso venga percepito come tale e venga reiterato. Il testo documenta come anche le indagini effettuate in Italia abbiano confermato quanto era già stato rilevato dalla ricerca empirica internazionale, vale a dire che il maltrattamento è un fenomeno endemico e connaturato all’organizzazione delle cure della gran parte delle strutture residenziali per anziani e disabili adulti (se ne legga a questo link). La pubblicazione del testo in questione rientra nell’àmbito dell’ampio confronto pubblico che si è aperto lo scorso giugno a seguito del lancio, da parte del medesimo Centro, di una campagna di sensibilizzazione sulla prevenzione dell’istituzionalizzazione e la promozione della deistituzionalizzazione (al tema è dedicata una specifica pagina costantemente aggiornata e fruibile dal seguente link).
Nei giorni scorsi il Centro ha segnalato anche gli esiti di un’indagine sulla contenzione meccanica nelle residenze per persone anziane svolta, nel territorio delle Marche, dal Gruppo Solidarietà. Da essa è emerso come in alcune strutture oltre l’80% delle persone residenti sia sottoposta a contenzione, e che questo non avvenga per rispondere ad un bisogno clinico, ma sia espressione di una «cultura organizzativa» che legittima questa pratica. E sebbene questo ulteriore testo pubblicato dal Centro non sia stato prodotto nell’àmbito del citato confronto pubblico, implicitamente anch’esso finisce per avvalorare le motivazioni che hanno indotto il Centro Informare un’h a lanciare la campagna di sensibilizzazione, ovvero che l’istituzionalizzazione, andando a comprimere o a negare la libertà personale dei soggetti che vi sono sottoposti, si configuri come una violazione dei diritti umani sanciti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, in particolare, ma non solo, dell’articolo 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società) della stessa. Un’interpretazione, la nostra, in linea con quella espressa, in più occasioni, dal Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità, che vieta questa pratica anche nelle situazioni di emergenza[1].
Ma l’aspetto più perturbante della questione è un altro, ossia il fatto che nonostante tutti (tutti!) i dati empirici a nostra disposizione documentino questa sistematica violazione dei diritti umani, e nonostante il Comitato ONU, già dal 2016, abbia esplicitamente raccomandato all’Italia di abolire l’istituzionalizzazione[2], le Organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità che siedono ai tavoli istituzionali o continuano esse stesse a gestire strutture residenziali e semiresidenziali, oppure assumono riguardo a questa pratica una condotta omissiva. Pertanto, anche chi non gestisce strutture, omette di chiedere l’introduzione di misure volte a impedire che ulteriori persone vengano istituzionalizzate, nonché di chiedere la predisposizione di un Piano Nazionale di deistituzionalizzazione per tirare fuori da tali contesti chi vi risiede attualmente. Tutto sembra procedere in modo meccanico, come un domino che nessuno ritiene di dover fermare. Nella sostanza l’istituzionalizzazione non ha più alcuna base giuridica (la norma più alta in grado – la Convenzione ONU – la vieta), né etica (il Comitato ONU l’ha definita una «pratica discriminatoria» e «una forma di violenza nei confronti delle persone con disabilità»[3]), né empirica (gli studi evidenziano una sistematica violazione dei diritti umani di chi vi è sottoposto), ma chi siede ai tavoli sembra orientato a mantenerla in vita. Accade così che, stando ai dati Istat del 2023 (gli ultimi disponibili)[4], più di 360mila persone continuino ad essere private della propria libertà personale, sebbene non abbiano commesso alcun reato. Non solo, qualcuno è riuscito a far introdurre in una norma giuridica una disposizione che permette che in futuro ulteriori persone con disabilità possano essere istituzionalizzate[5].
Questa situazione solleva numerose e complesse questioni. Vediamone alcune.
In primo luogo è importante segnalare che non ci sono dubbi interpretativi: l’istituzionalizzazione lede i diritti umani delle persone con disabilità, non solo quando queste subiscono maltrattamenti, abusi e violenze facilmente riconoscibili (come nel caso della contenzione), in realtà anche il fatto che esse siano confinate in luoghi speciali, soggette a regole che non hanno contribuito a definire, obbligate a convivere con persone che non hanno scelto e che siano spesso sottoposte a vincoli riguardo ai contatti da mantenere si configura come espressione di altrettante forme di violenza. Per rendercene conto, possiamo provare a immaginare che tali restrizioni vengano comminate a noi stessi/e. Tuttavia, nonostante queste evidenze, l’istituzionalizzazione non suscita un’adeguata riprovazione sociale perché è passato l’erroneo messaggio che se non vengono commessi reati sanzionati dal codice penale (come nel caso dei maltrattamenti), vivere in luoghi dedicati sia una risposta congrua ed inevitabile. Una semplice verifica dovrebbe essere sufficiente a scoprire le molteplici sperimentazioni di soluzioni alternative in atto nel nostro Paese. Esperienze concrete orientate all’emancipazione, e non alla disabilitazione delle persone con disabilità[6]. A complicare la questione vi è il fatto che molte Organizzazioni di persone con disabilità che hanno interessi diretti o indiretti a mantenere in vita l’istituzionalizzazione hanno contribuito (e continuano a contribuire) alla diffusione di false informazioni sull’argomento. Esse, ad esempio, sono arrivate ad affermare che l’istituzionalizzazione sarebbe compatibile con la Convenzione ONU proponendo una versione manipolata della stessa Convenzione.
La parte del primo comma dell’articolo 19 della Convenzione che chiede agli Stati di assicurare che «le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione[7]», continua pertanto ad essere largamente disapplicata anche grazie alle resistenze al cambiamento di Organizzazioni di persone con disabilità che continuano a gestire strutture residenziali e/o semiresidenziali e, contemporaneamente, siedono nell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità (OND) nella duplice veste di gestori di servizi e rappresentanti delle persone con disabilità. Questo significa che di fatto, in Italia, le persone con disabilità istituzionalizzate sono rappresentate ai tavoli istituzionali da soggetti che hanno interesse a istituzionalizzarle. Un conflitto di interessi che consente loro di influenzare le politiche in tema di deistituzionalizzazione, nonostante il Comitato ONU abbia esplicitamente raccomandato che ciò debba essere impedito[8].
Questa situazione surreale permane anche grazie alla connivenza degli altri componenti dell’OND (comprese le Organizzazioni di persone con disabilità che non gestiscono strutture), che non hanno sollevato, né sembrano intenzionati a sollevare, il tema del conflitto di interessi (verosimilmente per non turbare equilibri consolidati), nonostante in più occasioni siano stati pubblicamente sollecitati in tal senso[9].
Sembra che questi soggetti valutino più conveniente assecondare coloro che gestiscono strutture. Probabilmente si raccontano che questo sia il prezzo da pagare per continuare a stare a tavoli, e che questa sia in qualche modo una scelta obbligata. È dunque fondamentale sottolineare che qualunque potere che non sia finalizzato a «promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità»[10] è semplicemente illegittimo.
Una delle più significative conseguenze di queste scelte politiche – quanto meno discutibili – è che le Organizzazioni di persone con disabilità che siedono ai tavoli istituzionali escono da questa vicenda fortemente delegittimate e minate nella loro credibilità. Come possono le persone con disabilità sentirsi ancora rappresentate da soggetti che agiscono, o permettano che si agisca, in contrasto con la Convenzione ONU? Che credibilità pensa di avere chi rimane inerte davanti al fatto che centinaia di migliaia di persone continuino ad essere private della propria libertà personale sulla base della disabilità, o per aspetti legati all’età?
È ora di opporre un no secco all’istituzionalizzazione e a tutte le pratiche discriminatorie e violente nei confronti delle persone con disabilità. È ora di predisporre un Piano Nazionale per la deistituzionalizzazione, perché ogni giorno passato in struttura è, per queste persone, un giorno di ingiusta e arbitraria privazione della libertà personale. È ora di stabilire che anche le Organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità hanno l’obbligo di rispettare la Convenzione ONU che, essendo stata rarificata con la Legge 18/2009, è giuridicamente vincolante. Deve infine divenire perentorio che chi ha un conflitto di interessi riguardo alla deistituzionalizzazione non possa simultaneamente rappresentare le persone con disabilità.
Quando abbiamo lanciato la campagna di sensibilizzazione sulla prevenzione dell’istituzionalizzazione e la promozione della deistituzionalizzazione pensavamo che il richiamo al rispetto delle disposizioni della Convenzione ONU potesse fungere da elemento coesivo. Pensavamo cioè che sul fatto che la Convenzione ONU vada applicata, e non disattesa, si sarebbe potuto trovare un accordo. Constatiamo invece che una parte significativa del mondo dell’associazionismo delle persone con disabilità opera seguendo altre logiche. Ne prendiamo atto e spostiamo la riflessione sulla legittimazione della rappresentanza delle Organizzazioni di persone con disabilità che siedono ai tavoli istituzionali. Lo facciamo nella convinzione che la rottura di certe cristallizzazioni possa essere funzionale all’evoluzione dell’associazionismo stesso. «C’è una crepa in ogni cosa. È così che entra la luce»[11].
Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa)
Nota: il Centro Informare un’h è impegnato nel rivendicare la promozione della deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione. Temi su cui si è avviato un confronto pubblico. In calce alla pagina Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone (in aggiornamento) sono segnalati i contributi che di volta in volta si stanno susseguendo.
[1] Il Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità, l’organo preposto a dare indicazioni sulla corretta interpretazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, si è espresso su questo tema in diverse occasioni, sempre evidenziando la valenza discriminatoria dell’istituzionalizzazione. Questi alcuni dei testi più significativi: le Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia, 31 agosto 2016 (si vedano in particolare i punti 47 e 48); il Commento generale n. 5 – Vivere indipendenti ed essere inclusi nella collettività, 27 ottobre 2017 (dedicato all’applicazione dell’articolo 19, in tema di Vita indipendente ed inclusione nella società, della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità); le Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza, 9 settembre 2022. Molto chiaro è in particolare il punto 6 delle menzionate Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza, che recita: «L’istituzionalizzazione è una pratica discriminatoria nei confronti delle persone con disabilità, contraria all’articolo 5 [Uguaglianza e non discriminazione, N.d.R.] della Convenzione. Comporta la negazione di fatto della capacità giuridica delle persone con disabilità, in violazione dell’articolo 12 [Uguale riconoscimento dinanzi alla legge, N.d.R.]. Costituisce una detenzione e una privazione della libertà basata sulla menomazione, in contrasto con l’articolo 14 [Libertà e sicurezza della persona, N.d.R.]. Gli Stati parti devono riconoscere l’istituzionalizzazione come una forma di violenza contro le persone con disabilità. Espone le persone con disabilità a interventi medici forzati con farmaci psicotropi, come sedativi, stabilizzatori dell’umore, trattamenti elettro-convulsivi e terapie di conversione, in violazione degli articoli 15 [Diritto di non essere sottoposto a tortura, a pene o a trattamenti crudeli, inumani o degradanti, N.d.R.], 16 [Diritto di non essere sottoposto a sfruttamento, violenza e maltrattamenti, N.d.R.] e 17 [Protezione dell’integrità della persona, N.d.R.]. Espone le persone con disabilità alla somministrazione di farmaci e altri interventi senza il loro consenso libero, preventivo e informato, in violazione degli articoli 15 e 25 [Salute, N.d.R.]». Mentre al punto 8 è scritto: «Gli Stati parti dovrebbero abolire tutte le forme di istituzionalizzazione, porre fine ai nuovi collocamenti in istituti e astenersi dall’investire in istituti. L’istituzionalizzazione non deve mai essere considerata una forma di protezione delle persone con disabilità o una “scelta”. L’esercizio dei diritti previsti dall’articolo 19 [Vita indipendente ed inclusione nella società, N.d.R.] della Convenzione non può essere sospeso in situazioni di emergenza, comprese le emergenze sanitarie».
[2] Questo il contenuto dei punti 47 e 48 delle Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia, pubblicate dal Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità il 31 agosto 2016: «47. Il Comitato è seriamente preoccupato per la tendenza a re-istituzionalizzare le persone con disabilità e per la mancata riassegnazione di risorse economiche dagli istituti residenziali alla promozione e alla garanzia di accesso alla vita indipendente per tutte le persone con disabilità nelle loro comunità di appartenenza. Il Comitato inoltre nota con preoccupazione le conseguenze generate delle attuali politiche, ove le donne sono “costrette” a restare in famiglia per accudire i propri familiari con disabilità, invece che essere impiegate nel mercato del lavoro. 48. Il Comitato raccomanda: a) di porre in atto garanzie del mantenimento del diritto ad una vita autonoma indipendente in tutte le regioni; e, b) di reindirizzare le risorse dall’istituzionalizzazione a servizi radicati nella comunità e di aumentare il sostegno economico per consentire alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente su tutto il territorio nazionale ed avere pari accesso a tutti i servizi, compresa l’assistenza personale» (il punto 48 è interamente in grassetto nel testo originale).
[3] Si veda il testo del punto 6 delle menzionate Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza riportato nella nota n. 1.
[4] Il rapporto Istat Le strutture residenziali socio-assistenziali e socio-sanitarie – Anno 2023 (reso pubblico il 6 febbraio 2025) fornisce questi dati: « In Italia, al 1° gennaio 2023, risultano attivi 12.363 presidi residenziali. Vi operano 14.977 “unità di servizio” (v. Glossario), che dispongono complessivamente di 407.957 posti letto, pari a sette ogni 1.000 residenti. Gli ospiti totali al 1° gennaio 2023 sono 362.850, con un incremento dell’1,8% rispetto all’anno precedente, in linea con la crescita osservata negli anni precedenti il Covid19. Più del 75% degli ospiti è ultra-sessantacinquenne, il 19% ha un’età tra i 18 e i 64 anni e il restante 5% circa è composto da minori».
[5] Uno dei decreti attuativi della Legge Delega 227/2021 in materia di disabilità, il Decreto Legislativo 62/2024 (rubricato: Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato) permette che le persone con disabilità possano continuare a essere istituzionalizzate. Il primo comma dell’articolo 20 del menzionato Decreto Legislativo contiene questa disposizione: «Il progetto di vita tende a favorire la libertà della persona con disabilità di scegliere dove vivere e con chi vivere, individuando appropriate soluzioni abitative e, ove richiesto, garantendo il diritto alla domiciliarità delle cure e dei sostegni socioassistenziali, salvo il caso dell’impossibilità di assicurare l’intensità, in termini di appropriatezza, degli interventi o la qualità specialistica necessaria».
[6] Si veda, ad esempio, la parte conclusiva dell’opera Il soggiorno obbligato. La disabilità fra dispositivi di incapacitazione e strategie di emancipazione, a cura di Ciro Tarantino, Collana: Percorsi, Bologna, il Mulino, 2024, 672 pagine. Il testo è liberamente fruibile a questo link.
[7] Grassetto nostro nella citazione.
[8] In merito a questo aspetto il punto 34 delle menzionate Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza fornisce la seguente indicazione: «Ai fornitori di servizi, agli enti di beneficenza, ai gruppi professionali e religiosi, ai sindacati e a coloro che hanno interessi finanziari o di altro tipo nel mantenere aperte le istruzioni deve essere impedito di influenzare i processi decisionali relativi alla deistituzionalizzazione».
[9] Si veda, ad esempio: Simona Lancioni, Il rinvio dell’attuazione della Riforma sulla disabilità e il conflitto di interessi, «Informare un’h», 23 febbraio 2025.
[10] Come indicato dal primo comma dell’articolo 1 (Scopo) della Convenzione ONU. Grassetto nostro nella citazione.
[11] Verso di Anthem, una canzone di Leonard Cohen tratta dall’album The future del 1992.
Ultimo aggiornamento il 13 Ottobre 2025 da Simona