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La forza di scandalizzarci davanti all’istituzionalizzazione

di Simona Lancioni*

Prendendo spunto dalle recenti dichiarazioni in tema di istituzionalizzazione espresse, sulla testata «Vita», da Vincenzo Falabella, Presidente nazionale della FISH, Simona Lancioni chiede alla Federazione se sia «disponibile a mettere ai vertici della propria agenda politica la predisposizione di un Piano di deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione, affermando in tal modo che le libertà fondamentali non sono negoziabili». «Il Centro Informare un’h la sua scelta l’ha già fatta e continuerà a inseguire questo sogno di libertà ovunque lo porti e con chiunque lo condivida – conclude Lancioni –. Non abbiamo motivi per rinunciarci, anche perché è un sogno che scalda il cuore».

«Il Centro Informare un’h continuerà a inseguire il suo sogno di libertà ovunque lo porti e con chiunque lo condivida», scrive Simona Lancioni (foto tratta da Pexels).

Le seguenti riflessioni prendono spunto dalle dichiarazioni in tema di istituzionalizzazione espresse da Vincenzo Falabella, Presidente nazionale della FISH – Federazione italiana per i diritti delle persone con disabilità e famiglie, nel servizio di Veronica Rossi La casa dov’è? Così il dibattito sulla deistituzionalizzazione è tornato a infiammare il mondo della disabilità, pubblicato sulla testata «Vita» il 17 luglio 2025.

Dichiara Falabella: «non si può continuare a ignorare una realtà evidente: esistono situazioni in cui il bisogno di assistenza per una persona con disabilità è talmente elevato che la famiglia, soprattutto nel momento in cui i caregiver diventano anziani, fatica a gestire tutto da sola. In questi casi, è necessario poter contare su strutture adeguate, che offrano assistenza qualificata e rispettosa della dignità della persona» (formattazione nostra in questa nelle successive citazioni).

Ci sembra che i contenuti di questa affermazione – peraltro ribaditi da Falabella anche in altri passaggi del servizio curato da Rossi – siano privi di fondamenti giuridici. Infatti la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità non ammette il ricorso all’istituzionalizzazione nemmeno in via residuale, dunque affermare l’insopprimibile necessità di questa pratica significa porsi fuori dal paradigma della Convenzione stessa. Per le persone con disabilità con necessità di sostegno elevato, molto elevato e intensivo (per usare le espressioni indicate nell’articolo 4 del Decreto Legislativo 62/2024) è necessario trovare risposte che non comprimano il diritto umano di poter «scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione», come recita l’articolo 19 della medesima Convenzione ONU. Sottendere o affermare che il confinamento in una struttura sia necessario e sia «l’unica soluzione disponibile» (Falabella nel medesimo servizio afferma anche questo), è una fallacia argomentativa a cui ricorre chi non vuole mettere in discussione l’istituzionalizzazione. Poiché noi stiamo esplicitando la fonte giuridica di quanto asseriamo, chiediamo a Falabella su quale base giuridica poggia la sua affermazione, giacché non ci risulta che su questa materia esistano norme di grado superiore a quella da noi citata.

Correttamente, Falabella prosegue evidenziando il tratto “iper-familista” del nostro modello di welfare sociale per la disabilità, però non lo problematizza, lo dà per acquisito. Tuttavia anche in relazione a questo aspetto si sta discostando dalla Convenzione ONU. Infatti questa ci chiede di superare detto modello, e ci dice che i sostegni (anche quelli elevati, molto elevati e intensivi) vanno forniti e garantiti a tutte le persone con disabilità, non solo a quelle che non hanno famiglia, o a quelle i cui familiari non possono (più) prestare assistenza. Prova ne sia che il Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, parlando del nostro Paese, ha notato «con preoccupazione le conseguenze generate delle attuali politiche, ove le donne sono “costrette” a restare in famiglia per accudire i propri familiari con disabilità, invece che essere impiegate nel mercato del lavoro» (punto 47 delle Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia sull’applicazione della Convenzione ONU del 31 agosto 2016). Ragione per cui ci viene raccomandato: «a) di porre in atto garanzie del mantenimento del diritto ad una vita autonoma indipendente in tutte le regioni; e, b) di reindirizzare le risorse dall’istituzionalizzazione a servizi radicati nella comunità e di aumentare il sostegno economico per consentire alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente su tutto il territorio nazionale ed avere pari accesso a tutti i servizi, compresa l’assistenza personale» (punto 48 delle Osservazioni). Questo non vuol dire che le famiglie non possano o non debbano avere un ruolo – ci mancherebbe –, significa invece che se la persona adulta con disabilità complessa sceglierà di stare in famiglia, potrà starci con i sostegni necessari, senza che quest’ultima sia sovracaricata di oneri che non le competono. Ciò secondo il noto principio della vita indipendente libertà dalla famiglia, nella famiglia e della famiglia, che tutela il diritto all’autodeterminazione di tutti i soggetti coinvolti nella relazione. Anche le/i caregiver hanno diritto ad autodeterminarsi, e poiché il modello di welfare iper-familista nega tale diritto, non problematizzarlo vuol dire cristallizzare questa discriminazione che danneggia simultaneamente sia chi presta assistenza sia chi la riceve.

Le affermazioni di Falabella sono problematiche anche sotto il profilo etico. L’automatismo per cui la necessità di sostegno elevato, molto elevato e intensivo legittimerebbe la privazione della libertà personale di soggetti che non hanno commesso alcun reato, e sulla sola base della disabilità, appare violento e inaccettabile. Se lo Stato rispondesse in questo modo alle legittime esigenze di Falabella, crediamo che anch’Egli concorderebbe con questa valutazione. «Gli Stati parti devono riconoscere l’istituzionalizzazione come una forma di violenza contro le persone con disabilità», scandisce ancora il Comitato ONU (al punto 6 delle Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza del 2022). Ma Falabella, in più passaggi del servizio, parla dell’istituzionalizzazione in termini neutri e afferma che essa è in grado di offrire «assistenza qualificata e rispettosa della dignità della persona». Come può essere rispettosa della dignità umana una pratica che priva la persona della sua libertà personale? L’organo indipendente preposto all’interpretazione della Convenzione ONU è il Comitato ONU, e se questo afferma che l’istituzionalizzazione è una pratica discriminatoria e violenta, su che base Falabella asserisce che sia rispettosa della dignità della persona? Egli conosce un’autorità più autorevole del Comitato ONU?

C’è poi anche un problema di riscontri empirici. Non riusciamo a trovare studi scientifici che mostrino che privare le persone della libertà personale sia salutare e rispettoso della loro dignità. Falabella potrebbe gentilmente indicarceli? Le stesse Linee Guida del Comitato ONU sono scaturite dalle esperienze delle persone con disabilità prima e durante la pandemia di coronavirus (COVID-19). Esperienze che hanno evidenziato come, in quel frangente, le persone anziane e disabili ospitate in strutture abbiano subito un impatto sproporzionato (con tassi di contagio e mortalità molto più elevati) rispetto al resto della popolazione. La pandemia ha definitivamente sfatato il mito che l’istituzionalizzazione sia efficace anche per ciò che concerne la “protezione”. Infatti i sistemi di welfare orientati alla “protezione” hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza sia sotto il profilo sociale, sia sotto quello sanitario. A ciò ci aggiungano le innumerevoli notizie di vicende di violenza e maltrattamenti ai danni di persone anziane e disabili ospitate strutture, delle quali apprendiamo dai media. La FISH, che sostiene la necessità dell’istituzionalizzazione, può esibire studi che documentino evidenze contrarie?

Siamo invece d’accordo con questa affermazione del Presidente nazionale della Federazione: «Oggi, le strutture sono finanziate principalmente dal Fondo Sanitario Nazionale. Se utilizzassimo quelle stesse risorse – ad esempio 4mila euro al mese – per offrire interventi a domicilio, potremmo permettere a molte persone di vivere dignitosamente a casa propria, spesso persino con costi inferiori».

Nel servizio di Rossi, tra le altre cose, abbiamo sollevato la questione del conflitto di interessi tra advocacy e gestione di servizi. Riteniamo infatti che l’esistenza di molte realtà (anche dell’associazionismo di settore) che possiedono/gestiscono strutture residenziali e semiresidenziali e, al contempo, rivestono anche ruoli di advocacy, ostacoli una reale redistribuzione delle risorse (quantificabili nell’ordine di milioni di euro) verso soluzioni alternative all’istituzionalizzazione. In merito Falabella riconosce che il tema è «importante, ma generalizzare è rischioso». Poi aggiunge: «Non sempre le associazioni che gestiscono delle strutture agiscono in contrasto con i principi dell’advocacy: molte lo fanno proprio per sopperire alla carenza di servizi pubblici, mantenendo trasparenza e coerenza con la tutela dei diritti. Insinuare che tutte le associazioni siano condizionate da interessi economici senza prove concrete rischia di delegittimare ingiustamente una parte del settore impegnato da anni nella difesa delle persone con disabilità». Non si stratta di fare insinuazioni e di delegittimare nessuno, non abbiamo alcun interesse in tal senso, e non trarremmo alcun vantaggio da questa operazione. Si tratta invece di dare attuazione alla disposizione del Comitato ONU che prescrive che «Ai fornitori di servizi, agli enti di beneficenza, ai gruppi professionali e religiosi, ai sindacati e a coloro che hanno interessi finanziari o di altro tipo nel mantenere aperte le istruzioni deve essere impedito di influenzare i processi decisionali relativi alla deistituzionalizzazione» (punto 34 delle menzionate Linee guida).

Molto banalmente ci chiediamo se e come è stato affrontato questo conflitto di interessi all’interno della FISH, dal momento che alcune componenti della stessa gestiscono strutture residenziali e semiresidenziali, e percepiscono ingenti fondi pubblici a tale scopo. Dal nostro punto di vista, è politicamente rilevante conoscere quali dispositivi sono stati predisposti per fare in modo che le politiche promosse dalla stessa Federazione siano orientate verso il superamento dell’istituzionalizzazione e non al suo mantenimento. È politicamente rilevante sapere di quali garanzie si è dotata la FISH per evitare che la comprensibile e legittima esigenza di preservare i propri equilibri interni, abbia come effetto collaterale quello di far considerare negoziabili i diritti umani e le libertà fondamentali delle persone con disabilità ospitate nelle strutture, e ideologiche le richieste di chi promuove la deistituzionalizzazione [si veda: Vincenzo Falabella, “Vivere l’autismo complesso: quelle parole che diventano testimonianza”, «Superando», 2 luglio 2025]. I diritti umani e le libertà fondamentali non sono negoziabili, appartengono all’individuo in quanto essere umano, e quando li comprimiamo o li neghiamo, li stiamo violando. Il divieto di istituzionalizzazione è una componente essenziale della Convenzione ONU, chi dice di rappresentare le persone con disabilità dovrebbe promuovere l’esigibilità dei diritti di queste ultime, e non assumere la prospettiva di chi, avendo interessi confliggenti, non si fa scrupolo di violarli. Non chiediamo queste cose per delegittimare la FISH, che, per chi non lo sapesse, è stata voluta, tra le altre, anche dalla stessa Associazione di cui il Centro Informare un’h è espressione (il Centro è un servizio della UILDM Sezione di Pisa – Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Le chiediamo perché ci sembra che ultimamente le politiche della Federazione siano più orientate a normalizzare l’istituzionalizzazione e a prendere le parti di chi possiede strutture, che a far cessare la violazione dei diritti umani di chi vi è rinchiuso/a dentro. Non siamo puristi/e, sappiamo benissimo che la politica è l’arte del compromesso, ma ci sono compromessi che non si possono accettare, e sul fatto che questo compromesso sia inaccettabile per noi non abbiamo particolari dubbi. L’idea di ritrovarci a dover cercare un’altra rappresentanza politica ci crea un dolore ed un turbamento profondi. Dunque, se la Federazione volesse riposizionarsi, ne saremmo ben felici. Ma se anche non lo facesse, questo non ci impedirà di continuare a promuovere la deistituzionalizzazione e a chiedere la fine dell’istituzionalizzazione. Non abbiamo bisogno di chiedere permesso. Non siamo noi che stiamo chiedendo l’applicazione della Convenzione ONU a dover giustificare la nostra posizione, è chi ne sta legittimando la violazione che deve spiegare quali interessi o poteri sta difendendo.

Ma andiamo avanti.

Poiché le stesse dinamiche di conflitto di interessi si presentano anche all’interno dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, chiediamo al Presiedente nazionale della FISH, che ne è componente, se e come questo aspetto sia stato affrontato all’interno dell’Osservatorio. E, nel caso non fosse mai stato trattato, se la FISH sia disponibile a sollevare la questione che Egli stesso ha, correttamente, definito importante.

In un ulteriore passaggio, Falabella ribadisce che, a suo dire, alcune situazioni «sono così complesse da rendere pressoché impossibile una vita autonoma al domicilio, soprattutto in assenza di adeguati servizi territoriali. In questi casi, quando la famiglia non riesce più a farsi carico della persona, l’istituto resta l’unica soluzione disponibile». In merito a questa affermazione condividiamo quanto espresso, con toni che abbiamo trovato particolarmente elevati, da Giovanni Merlo, direttore della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità). Scrive Merlo: «Non bisogna certo sminuire le difficoltà che le compromissioni e le menomazioni comportano nella vita delle persone, anche e soprattutto nell’esercizio della propria libertà. Ma in barba ai nostri pregiudizi, ogni uomo continua a nascere libero. È compito della società, cioè di ognuno di noi, fare in modo che ogni persona riceva i sostegni necessari per poter vivere nella società stessa, potendo scegliere, come gli altri, che vita vivere. Nessuno può e deve essere inchiodato nella sua diagnosi. La compromissione, in nessun caso, deve predeterminare il percorso di vita di una persona. Ogni volta che questo accade (e accade di frequente), dovremmo trovare la forza di scandalizzarci e di dire con chiarezza che stiamo calpestando i diritti fondamentali di quella persona, a partire dal rispetto e riconoscimento della sua dignità» (Libere tutte, le persone con disabilità, ma proprio tutte, pubblicato sul sito di «Informare un’h» il 15 luglio 2025). Ecco, anche noi del Centro stiamo cercando di trovare la forza di scandalizzarci. La LEDHA è anche la componente lombarda della FISH. Ci chiediamo se all’interno della Federazione ci siano altre componenti disponibili a scandalizzarsi e ad esprimersi con tanta chiarezza. Le invitiamo a farlo. È questo il momento giusto.

In conclusione, poiché, come sottolineato dal Comitato ONU, l’istituzionalizzazione è una pratica discriminatoria e una forma di violenza nei confronti delle persone con disabilità, chiediamo alla FISH se sia disponibile a mettere ai vertici della propria agenda politica la predisposizione di un Piano di deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione, affermando in tal modo che le libertà fondamentali non sono negoziabili. È una richiesta, non una pretesa, la Federazione è libera di scegliere se accoglierla o meno. Noi ci riserviamo di regolarci di conseguenza, e lo faranno anche altri soggetti, molti altri. Il Centro Informare un’h la sua scelta l’ha già fatta e continuerà a inseguire questo sogno di libertà ovunque lo porti e con chiunque lo condivida. Non abbiamo motivi per rinunciarci, anche perché è un sogno che scalda il cuore.

 

* Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa). L’autrice dichiara di non avere alcun conflitto di interessi, neanche indiretto, riguardo al tema dell’istituzionalizzazione.

 

Nota: ovviamente il Centro Informare un’h è disponibile a ospitare sul proprio sito eventuali repliche da parte del Presidente nazionale della FISH.

 

Nota: il Centro Informare un’h è impegnato nel rivendicare la promozione della deistituzionalizzazione e lo stop all’istituzionalizzazione. Temi su cui si è avviato un confronto pubblico. In calce alla pagina Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone (in aggiornamento) sono segnalati i contributi che di volta in volta si stanno susseguendo. 

 

Ultimo aggiornamento il 20 Luglio 2025 da Simona