Forse qualcuno ricorderà ancora la vicenda relativa all’articolo denominato “Il valore di un selfie” (pubblicato sul quotidiano «la Repubblica» nell’agosto 2023), nel quale la giornalista Concita De Gregorio ha utilizzato diverse espressioni afferenti all’area della disabilità intellettiva come insulto. Come Centro Informare un’h ci siamo occupati più volte della questione*, mettendo in rilevo gli aspetti della comunicazione. Tra i contributi pubblicati ve ne era anche uno di Leo Cerreta, una persona cieca, che si espresse criticamente sulla nostra trattazione, ed ora è tornato a scriverci. Dunque pubblichiamo le sue ulteriori osservazioni critiche, alle quali, a nostra volta, replichiamo.
La “sindrome della rimozione dell’inferiorità”
di Leo Cerreta

Sebbene con notevole e colpevole ritardo, ho letto la Sua replica alle mie osservazioni [si riferisce al confronto pubblicato a questo link, N.d.R.] e, pertanto, desidero comunicarLe quanto segue.
Da quanto Lei afferma, mi sembra che stia incorrendo nell’equivoco di confondere il giudizio e il valore attribuiti alla persona nella sua interezza – ossia come individuo nel suo complesso – con quelli concernenti singole capacità e/o caratteristiche. Il Suo rifiuto di ammettere che si possa essere superiori o inferiori ad altri, e che non tutti abbiano lo stesso valore – come invece suggerisce il Suo “affresco colorato” – assomiglia molto a una sindrome di rimozione psicologica. Si tratta, cioè, del non voler guardare alla realtà delle cose, omettendo ciò che è scomodo per costruire una versione edulcorata e rassicurante della realtà stessa. È un atteggiamento che, purtroppo, adottano spesso le famiglie di persone con disabilità, e in modo particolare i genitori – soprattutto le madri – i quali possono vivere un senso di colpa, talvolta inconscio, per aver messo al mondo un figlio con disabilità.
La realtà, invece, è che siamo tutti diversi e, pertanto, anche superiori e/o inferiori ad altri in determinati ambiti; e la disabilità, piaccia o no, rappresenta un minus, non un plus. E qui veniamo al punto: quando affermo che una persona cieca è inferiore, in termini di vista, a chi vede, o che una persona con disabilità intellettiva è inferiore, in termini di capacità cognitive specifiche, a chi non ha tale disabilità, non esprimo un giudizio sull’individuo nella sua interezza, ma su una precisa caratteristica che lo definisce in quel contesto. Può benissimo accadere (o anche no) che l’individuo, nella sua complessità – fatta di molteplici aspetti e abilità – possieda altre caratteristiche che, valutate complessivamente, lo rendano superiore a un individuo senza disabilità. Certo è che, partendo con una disabilità, magari anche grave, il divario da colmare è notevole. Fin qui si tratta dell’aspetto oggettivo, direi quasi matematico, su cui c’è poco da discutere: non ammetterlo ci trasformerebbe nei “terrapiattisti della disabilità”.
Vi è poi un aspetto ancora più importante: avete davvero bisogno di sentirvi tutti uguali per avere dignità di esistere e condurre una vita piena e appagante? Non si può forse vivere serenamente pur ammettendo di essere inferiori ad altri in determinati contesti? Questa “sindrome della rimozione dell’inferiorità” è figlia del desiderio diffuso di essere sempre i primi, sempre al top; ma poiché ciò spesso non è possibile, si tende a livellare tutto, evitando di evidenziare le differenze. Se si facesse pace con il fatto che si può avere dignità anche nell’inferiorità – sebbene l’aspirazione al miglioramento e alla superiorità sia una spinta umana insopprimibile – forse si potrebbero interpretare le parole offensive della Signora De Gregorio semplicemente per quello che sono: un’offesa basata sull’equiparare una persona normodotata a qualcuno che si comporta come se avesse una disabilità intellettiva. Questo è ben diverso dall’affermare che chi ha una disabilità intellettiva debba nascondersi per la vergogna.
Come ho esemplificato con l’aneddoto di Cassioli, io non mi sento offeso se qualcuno dà del “cieco” a un altro perché non ha visto qualcosa di evidente; di conseguenza, non capisco perché una persona con disabilità intellettiva dovrebbe offendersi se qualcuno dà del “ritardato” a un’altra persona. Tutto risiede nel bias cognitivo con cui interpretiamo le parole offensive. Queste possono essere intese come: “Ti stai comportando come se avessi una disabilità intellettiva, nonostante tu abbia le capacità per agire diversamente”, stigmatizzando così un comportamento irriflessivo. Oppure, possono essere interpretate come: “Vergognati, ti comporti proprio come quei poveretti con disabilità intellettiva”, sottintendendo un malcelato disprezzo. È ovvio che se leggiamo tali espressioni con il pregiudizio negativo di chi “ha la coda di paglia” ed è costantemente in guerra con un mondo percepito come ostile e sprezzante verso “noi poveri disabili”, si sceglierà quest’ultima interpretazione.
Riguardo, infine, a questa Sua frase: «Mi colpisce molto che lei si preoccupi di rassicurare i genitori delle persone con sindrome di Down circa il fatto che usare i termini della disabilità intellettiva come insulto non sottenda un messaggio offensivo (cosa peraltro non vera), ma non sembri porsi il problema che siano proprio le persone con disabilità intellettiva a sentirsi oltraggiate, sminuite, invisibilizzate e disumanizzate».
Al contrario, è ovvio che il messaggio sia offensivo; il punto, come ho già spiegato, è: nei riguardi di chi? Per quanto concerne il rassicurare i genitori di persone con disabilità intellettiva, ignorando che siano proprio queste ultime a sentirsi offese, io non ignoro affatto la questione. Semmai è Lei a presupporre che esse si sentano offese in quel modo. Diciamo che se tale percezione di offesa provenisse autenticamente e direttamente dagli interessati – ossia dalle persone con disabilità stesse – anziché dai loro sedicenti paladini (che pretendono di interpretarne il pensiero, se non addirittura di condizionarlo), allora la questione assumerebbe un peso certamente diverso. È interessante notare, tuttavia, come tali indignazioni e dichiarazioni di offesa siano manifestate prevalentemente da terzi, piuttosto che dalle persone con disabilità. E quando provengono da queste ultime, si tratta solitamente di individui meno emancipati, vissuti sotto la campana di vetro della famiglia, che ne ha condizionato il pensiero, instillando in loro il germe del pietismo e dell’autocommiserazione. Guarda caso, ad essere meno “politically correct” in tema di disabilità sono spesso proprio le persone con disabilità più emancipate, quelle che hanno avuto la fortuna o la possibilità di raggiungere una propria autonomia di pensiero.
L’uguaglianza è accoglienza
di Simona Lancioni (responsabile del Centro Informare un’h)
Devo ammettere che trovare una persona con disabilità che sostiene in maniera così tenace «che si può avere dignità anche nell’inferiorità» è decisamente inconsueto. Per Cerreta la disabilità sarebbe un minus che inferiorizza non tutta la persona, ma una parte di essa. E chi non condivide tale interpretazione (tra cui la sottoscritta), potrebbe essere un genitore (meglio se una madre) che cerca di alleviare il «senso di colpa, talvolta inconscio, per aver messo al mondo un figlio con disabilità» (ma io sono una madre di un figlio con disabilità!), oppure sarebbe affetto/a dalla “sindrome della rimozione dell’inferiorità”, che però non mi risulta esista (Cerreta può documentarne l’esistenza?).
Il nostro Autore pone due questioni che definisce come più importanti: «avete davvero bisogno di sentirvi tutti uguali per avere dignità di esistere e condurre una vita piena e appagante? Non si può forse vivere serenamente pur ammettendo di essere inferiori ad altri in determinati contesti?» Ritengo che non sentirsi superiore o inferiore a nessuno/a non significhi affatto negare le differenze, ma significhi semplicemente accoglierle, dunque non aspettarsi che la persona debba essere diversa da quella che è.
Credo che non si debba confondere l’oggettivo svantaggio che hanno le persone con disabilità nel vivere in un ambiente non pensato, progettato e costruito tenendo conto della loro presenza – che è l’aspetto su cui si deve intervenire –, col ritenere che una determinata caratteristica possa essere qualificata come “inferiore”. L’interpretazione che sto proponendo trova un fondamento sia nell’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2001, sia dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006. Entrambi questi strumenti interpretano la disabilità in chiave relazionale, e non come una caratteristica della persona.
Dunque non c’è nessuna “coda di paglia” nel ritenere offensivo che termini afferenti alla disabilità vengano utilizzati come insulto. E neppure, per quel che mi riguarda, l’esigenza di ergermi a paladina di qualcuno/a. Si tratta, più semplicemente, di un atteggiamento coerente con le interpretazioni della disabilità elaborate dall’OMS e dall’ONU.
Gli aspetti della comunicazione e del linguaggio da utilizzare quando si parla di disabilità sono stati ampiamente studiati e definiti con il coinvolgimento delle stesse persone con disabilità. C’è una letteratura sterminata su questo, e non può essere liquidata come una smania di inseguire il politicamente corretto a scopo consolatorio. Trovo inoltre parecchio offensivo che Cerreta definisca le persone con disabilità che chiedono un uso rispettoso del linguaggio come «individui meno emancipati». Se volesse scusarsi, ben volentieri il Centro ospiterà le Sue scuse.
* Simona Lancioni, Da Concita De Gregorio, su «la Repubblica», un formidabile esempio di abilismo, «Informare un’h», 4 agosto 2023.
Simona Lancioni, No, De Gregorio, non è il contesto che è morto, è il suo abilismo che è vivo e vegeto, «Informare un’h», 5 agosto 2023.
Simona Lancioni, L’Ordine dei Giornalisti interviene sulla vicenda De Gregorio: “Le parole sono contenitori”, «Informare un’h», 7 agosto 2023.
Leo Cerreta e Simona Lancioni, Un confronto sulla vicenda relativa all’articolo di Concita De Gregorio, «Informare un’h», 7 agosto 2023.
Ultimo aggiornamento il 9 Maggio 2025 da Simona