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Le criticità nell’attuazione dei progetti di vita delle persone con disabilità

di Matteo Menozzi

Cosa non va nei progetti di vita finanziati attraverso il PNRR? Se lo chiede Matteo Menozzi, persona con disabilità di Parma, a cui è stato finanziato un progetto per la vita indipendente, e sta riscontrando criticità sotto diversi profili.

In controluce e su un’altura, una persona con disabilità in sedia a rotelle solleva le braccia al cielo manifestando un senso di libertà.

Cosa non va nei progetti di vita finanziati attraverso il PNRR [Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, N.d.R.]?

Mi chiamo Matteo Menozzi e sono un ragazzo con disabilità che ha un progetto di vita finanziato dal PNRR, sono di Parma, sono laureato in relazioni internazionali e mi sto laureando in giornalismo.

Riflettiamo sui progetti finanziati attraverso il PNRR, ossia il progetto che sto facendo. Tale progetto è diviso in due parti, ed entrambe presentano delle criticità sotto il profilo del rispetto dei diritti umani. Nella prima ci sono delle criticità che riguardano, ancora, la libertà di movimento, perché se la persona con disabilità non ha la patente, e non ci sono mezzi pubblici accessibili, [per gli spostamenti] essa sarebbe subordinata all’aiuto di altre persone, e se costoro non fossero disponibili, la persona con disabilità resterebbe al palo. Anche in relazione alla libertà di organizzare la giornata, la prima parte ne concede poca, ed il fatto di essere legati a doppia mandata al progetto finisce col limitare la possibilità di fare attivismo e uscire con gli amici.

Infatti il limite alla libertà di organizzare la propria giornata si ripercuote sulla libertà di fare attivismo o politica, impedendo alla persona di svolgere attività politica in mezzo alla gente, o di partecipare ad eventuali riunioni connesse all’attivissimo. E se tali attività facessero sentire la persona inclusa, limitarle per lei significherebbe rinunciare alla propria inclusione sociale.

Un aspetto comune a tutte le parti del progetto è la libertà di scegliere dove e con chi vuoi vivere, perché ovviamente essendo tale aspetto una “scatola chiusa”, loro [i servizi, N.d.R.] ti asseggano i compagni di viaggio e il luogo dove vivere, e se non ti piacciono o il luogo o i compagni devi subirli senza appello.

Un’altra grossa problematica riguarda l’occupazione, perché se una persona con disabilità perde il posto ha molta più difficoltà a rimettersi nel mercato del lavoro, anche se si forma, perché il numero di posti disponibili [per le persone con disabilità] è minore rispetto a quello a cui possono accedere le persone senza disabilità.

Sempre legato al tema del lavoro, esiste anche il problema che le banche non concedono mutui a coloro che non hanno un impiego o che percepiscono uno stipendio troppo basso. Di conseguenza, chi desidera vivere autonomamente, deve accettare le condizioni proposte senza possibilità di negoziazione.

Consideriamo ora il caso in cui la persona con disabilità perdesse i genitori e non avesse i soldi per vivere da sola, e neanche per andare a vivere in casa popolare, allora questa persona finirebbe in una casa protetta con esborso a carico dello Stato. In questo caso i contribuenti dovrebbero pagare due volte per la persona con disabilità e sarebbe un fallimento anche, e soprattutto, per l’inclusione.

[Si può guardare con favore al fatto che le persone con disabilità acconsentano a pubblicare le proprie] foto sui social e sui giornali, purché poi queste non vengano “spettacolarizzate” magari anche da politici che presentano questi progetti segreganti e la parziale autonomia della persona come fosse l’inclusione, quando non c’è né l’inclusione e né l’autonomia.

Riguardo al tema della privacy, [possiamo osservare che] può essere accettabile solo in due casi condividere una camera con un’altra persona, ossia solo nel caso in cui la persona sia legata a te affettivamente, e in quello in cui sei in vacanza.

In entrambi questi casi la persona con disabilità dovrebbe poter scegliere la persona con cui condividere la camera senza che le venga imposta. Questo perché si tratta di uno spazio personale che può essere utilizzato per dormire, lavorare in modalità smart working o svolgere altre attività. [Nel caso in cui invece questa persona venisse imposta], non si può parlare di inclusione perché comunque le persone con disabilità sono in un certo senso “recluse” con persone della stessa “categoria” senza poter realmente scegliere con chi e dove stare.

 

 

Ultimo aggiornamento il 12 Marzo 2025 da Simona