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Il caso di Ortona: ma Antonio, voleva morire?

Accade ad Ortona, in provincia di Chieti, Roberto Tatasciore, un uomo di 70 anni, si è impiccato dopo aver strangolato il fratello Antonio, una persona con disabilità di 74 anni a cui prestava assistenza. I racconti dei media sono abbastanza convergenti, alcuni sono più dettagliati, altri più sintetici. Da questi si apprendono le dichiarazioni che il primo ha affidato ad un biglietto. Nessuno che si chieda: ma Antonio, voleva morire?

Il pensatore, statua in bronzo dell’artista francese Auguste Rodin, realizzata nel 1880 –1902, e conservata, a Parigi, nel museo che porta il nome del suo creatore. Essa raffigura un bell’uomo nudo, seduto, mentre poggia il viso sul dorso di una mano nell’atto di pensare.

Uccide fratello disabile e si suicida, biglietto spiega motivi, questo il titolo della notizia lanciata dalla sezione abruzzese dell’agenzia «ANSA» (del 30 gennaio 2023). «Dramma ieri ad Ortona, stanchezza e separazione in vista», integra l’occhiello. Ortona è una piccola città in provincia di Chieti. Poco più di 22 mila abitanti, stando a Wikipedia. Roberto Tatasciore, un uomo di 70 anni, si è impiccato dopo aver strangolato il fratello Antonio, una persona con disabilità di 74 anni a cui prestava assistenza. Il primo ha lasciato un biglietto, ora acquisito dai Carabinieri, dal quale, stando all’agenzia, emergerebbe che non ce la faceva più a prestare assistenza al fratello, e che era preoccupato perché nel giro di pochi giorni si prospettava il ricovero di Antonio in una residenza sanitaria assistita (RSA). Dall’agenzia ipotizzano che, avendo sempre vissuto insieme il fratello minore non volesse separarsi da Antonio. «I due, nessuno dei quali sposato, entrambi pensionati dopo aver lavorato rispettivamente in una ditta metalmeccanica e all’ufficio territoriale dell’agricoltura, hanno sempre vissuto insieme», è scritto. «Stanchezza per il fatto di doverlo accudire dunque, ma soprattutto il dispiacere nell’ipotesi, che sembrava prendere corpo, della loro separazione, potrebbe aver innescato la scintilla. Uniti da sempre nella vita come nella morte, questo sembra il senso di quanto contenuto nel biglietto», si legge subito dopo, con l’aggiunta della precisazione che l’abitazione risultava in ordine, ed in essa i Carabinieri non hanno trovato elementi o segni che facciano pensare a una lite tra i due. I cadaveri sono stati scoperti da un terzo fratello, Tommaso, che aveva fatto colazione con loro quella stessa mattina, e che ha provveduto a dare l’allarme quando ha constatato l’accaduto.

Non stupisce che nella notizia nessuno si chieda se Antonio fosse d’accordo con la decisione del fratello, se davvero anche lui preferisse morire piuttosto che separarsi, se abbia condiviso quella scelta di morte. E non si tratta di dire che i/le caregiver non abbiano le loro ragioni a sentirsi stanchi, disperati e abbandonati dallo Stato. Massimo rispetto e massima solidarietà per quel legittimo dolore. Ma non credo che quel dolore, sebbene legittimo, autorizzi nessuno a disporre della vita altrui senza chiedere il permesso. Assumiamo in modo acritico le dichiarazioni dell’omicida, empatizziamo con lui. La sua versione ci basta, che potrebbe dire di diverso una persona con disabilità? La disperazione è diventata una referenza. Al caregiver disperato non si deve chiedere alcunché, ha licenza di uccidere. Gliela diamo noi ogni volta che ascoltiamo solo la sua campana. Ogni volta che non ci poniamo neanche il problema che possa esserci un’altra campana. Ogni volta che assumiamo che il diritto alla vita sancito dall’articolo 10 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, debba essere rispettato da tutti tranne che dai/dalle caregiver. Allora sarebbe ora di smarcarsi, dunque non voglio capire né giustificare. Il/la caregiver – come tutti e tutte – può disporre della propria vita, ma è ora di iniziare a dire chiaro che non può disporre della vita altrui. Fermiamoci un attimo e riflettiamo. Se di mezzo non ci fosse una persona con disabilità, saremmo così comprensivi? Siamo davvero sicuri che il problema sia la stanchezza, e non la convinzione che in fondo la vita della persona con disabilità valga meno? Che la sua vita abbia un valore solo in funzione di chi si cura di lei, ma non ne abbia uno proprio e distinto? Vogliamo quanto meno iniziare a mettere in dubbio questi aspetti?

Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa)

 

Ultimo aggiornamento il 7 Febbraio 2023 da Simona