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ONU: accolto il ricorso per discriminazione di una caregiver italiana

Il Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità ha accolto il ricorso di Maria Simona Bellini, una caregiver familiare italiana, avendo riscontrato che la mancanza di riconoscimento e di tutele adeguate per i/le caregiver del nostro Paese ha determinato una ‘discriminazione per associazione’, una forma di discriminazione nella quale una persona è trattata in modo meno favorevole a causa del suo legame con una persona con disabilità. La Decisione del Comitato ONU ha stabilito l’obbligo per lo Stato italiano di assicurare alla ricorrente e ai suoi familiari con disabilità una compensazione adeguata e l’accesso a servizi individualizzati di supporto, ma anche quello di adottare misure per prevenire simili violazioni in futuro.

Una giovane con disabilità in sedia a rotelle assieme alla sua caregiver in uno spazio all’aperto.

Un “caso pioneristico”, con queste parole il comunicato pubblicato nel sito delle Nazioni Unite lo scorso 5 ottobre definisce la vicenda di Maria Simona Bellini, una caregiver familiare italiana, che si era rivolta al Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità sostenendo che la mancanza di riconoscimento giuridico e di sostegno ai/alle caregiver familiari ha comportato una violazione dei diritti umani suoi, di sua figlia e del suo partner, entrambi persone con disabilità non autosufficienti di cui lei si prende cura quotidianamente, in contrasto con la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, un trattato che il nostro Paese sarebbe tenuto a rispettare, visto che l’ha ratificato (Legge 18/2009). Ebbene, lo stesso comunicato rende pubblico il testo della Decisione del 3 ottobre 2022 con la quale il Comitato ONU ha accolto il ricorso della donna avendo «riscontrato che l’incapacità dell’Italia di fornire servizi di sostegno individualizzati a una famiglia di persone con disabilità è discriminatoria e viola i loro diritti alla vita familiare, a vivere in modo indipendente e ad avere un tenore di vita adeguato».

«Questo caso rappresenta una svolta perché il Comitato ha riconosciuto la violazione del diritto di un/a caregiver familiare al sostegno sociale, oltre ai diritti delle persone con disabilità», ha affermato Markus Schefer, relatore del Comitato per le comunicazioni. Lo stesso Schefer osserva che «questo è anche il primo caso in cui il Comitato ha esaminato le denunce di ‘discriminazione per associazione’, poiché la ricorrente è stata trattata in modo meno favorevole a causa del suo ruolo di caregiver familiare di persone con disabilità».

Si tratta di una pronuncia importantissima che merita di essere approfondita.

Tutto inizia nel 2017, quando Maria Simona Bellini, con il supporto del Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità (CONFAD), già Coordinamento Nazionale Famiglie Disabili Gravi e Gravissimi, all’epoca presieduto dalla stessa Bellini, decise di ricorrere al Comitato ONU ritenendo che la mancanza di riconoscimento giuridico e di sostegno ai/alle caregiver familiari avesse come conseguenza una violazione dei diritti suoi, di sua figlia – una donna con gravissima disabilità di 34 anni – e del suo partner – un uomo di 66 anni divenuto gravemente disabile nel 2007, in conseguenza di un’emorragia cerebrale dagli esiti alquanto severi. L’attività di cura impegna Bellini sia il giorno che la notte. Essendo le sue mansioni di assistenza incompatibili col lavoro d’ufficio, dal 2013 al 2017 Bellini ha ottenuto di telelavorare da casa. Nel gennaio 2017 questa possibilità non le è stata più concessa impedendole di mantenere il suo impiego retribuito. La mancanza di riconoscimento e di sostegno legale espone i/le caregiver familiari, come la stessa Bellini, a rischio di sperimentare conseguenze negative e pesanti per la loro salute, le finanze, la situazione socio-economica, quella personale e la vita sociale. In particolare le donne, che costituiscono la maggior parte dei caregiver familiari, vanno incontro, tra le altre cose, ad un impoverimento e alla compromissione dei diritti pensionistici. Questo perché nel nostro ordinamento non è prevista nessuna forma di protezione sociale per quelle situazioni nelle quali un/a caregiver familiare perde il lavoro a causa dei suoi impegni di cura.

Bellini ha avvalorato il suo reclamo individuando tre elementi collegati che legittimano il suo ricorso al Comitato ONU: la circostanza che esiste un collegamento fondamentale tra il prestatore di assistenza e la persona con disabilità; che le attività di assistenza senza alcun riconoscimento giuridico sono una forma di disabilità; e che l’assistenza è un diritto umano sostanziale.

La procedura di ricorso prevede che lo Stato chiamato in causa si esprima sulla ricevibilità e la fondatezza del medesimo. Ebbene, le argomentazioni dello Stato italiano sono riassunte nel paragrafo denominato, appunto, “Osservazioni dello Stato parte sulla ricevibilità e sulla fondatezza”. Il nostro Stato ha dichiarato di ritenere il ricorso in questione irricevibile sia perché manifestamente infondato, sia per il mancato esaurimento dei mezzi di ricorso interni. La parte più interessante e tragica del paragrafo è quella in cui l’Italia cerca di convincere il Comitato ONU che per i/le caregiver la legislazione nazionale prevede diverse forme di protezione, e cita i tre giorni di “permesso mensile” retribuito ai sensi dell’articolo 33 della Legge 104/1992, previsto per i dipendenti pubblici o privati che assistono familiari con gravi disabilità; le ferie straordinarie retribuite di assenza dal lavoro come previsto dall’articolo 42 del Decreto Legislativo 151/2001, che viene concesso per un periodo di due anni per un dipendente che assiste una persona con disabilità; il “Fondo per la non autosufficienza” che fornisce sostegno ai familiari delle persone con disabilità; il “Fondo per sostenere il caregiving e il ruolo assistenziale del caregiver familiare” istituito ai sensi dell’articolo 1 (comma 254) della Legge 205/2017; il congedo parentale più lungo, fino a tre anni, è offerto ai genitori di un bambino con disabilità (Decreto Legislativo 151/2001). Come a dire: la richiesta di Bellini è infondata perché le tutele per i/le caregiver in Italia ci sono… ma tali argomentazioni non hanno convinto il Comitato, che infatti ha osservato come «nessuna delle misure cui fa riferimento lo Stato parte è rilevante per la sua [di Bellini, N.d.R.] situazione familiare, considerando il fatto che i suoi familiari richiedono assistenza continua», e che « nessuna forma di rimedio o risarcimento è stata fornita alla sua famiglia per affrontare la loro situazione, anche con i fondi a cui fa riferimento lo Stato parte». L’aspetto tragico consiste nel fatto che lo Stato italiano, nel ritenere che il ricorso di Bellini sia manifestamente infondato, sembra non rendersi conto delle reali, e spesso disumane, condizioni in cui vivono molti/e caregiver italiani, e che ritenga le attuali misure sufficientemente tutelanti per loro.

Dopo un esame dettagliato della documentazione prodotta dai soggetti coinvolti, e di tutte le disposizioni chiamate in causa, il Comitato ONU ha formulato le sue conclusioni. In base ad esse ha ritenuto che lo Stato parte sia venuto meno agli obblighi che gli competono in forza degli articoli 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società), 23 (Rispetto del domicilio e della famiglia) e 28 (Adeguati livelli di vita e protezione sociale), paragrafo 2, lettera c)* della Convenzione ONU nei confronti della figlia e del partner di Bellini, nonché agli obblighi di cui all’articolo 28, paragrafo 2, lettera c) nei confronti della stessa ricorrente.

In risposta a tali violazioni, il Comitato ha stabilito che nei confronti di Bellini, di sua figlia e del suo partner l’Italia ha l’obbligo di concedere un adeguato compenso, anche per le eventuali spese legali sostenute per il deposito del ricorso in esame; nonché di adottare misure appropriate per garantire che la loro famiglia abbia accesso a servizi di supporto individualizzati adeguati, compresi i servizi di sollievo dall’assistenza, il sostegno finanziario, i servizi di consulenza, il sostegno sociale e altre opzioni di supporto adeguate al fine di garantire il godimento dei diritti sanciti della Convenzione di cui è stata contestata la violazione. All’Italia è inoltre attribuito l’obbligo di adottare misure per prevenire simili violazioni in futuro, modificando, se necessario, la propria legislazione, reindirizzando le proprie risorse dall’istituzionalizzazione ai servizi di comunità e aumentando il supporto finanziario per consentire alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente e di avere uguale accesso ai servizi, ivi inclusa l’assistenza personale ed il supporto per i/le caregivers familiari, se del caso. Infine all’Italia è richiesto di presentare, entro sei mesi, una risposta scritta al Comitato ONU su quali azioni intenda intraprendere per dare attuazione alle disposizioni formulate dal Comitato stesso; e di pubblicare le disposizioni in questione, di farle tradurre in italiano e di diffonderle ampiamente, anche in formati accessibili, al fine di raggiungere tutti settori della popolazione.

Questo il commento che Maria Simona Bellini, attuale presidente onoraria di CONFAD, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook personale: «Accogliamo con plauso, ma soprattutto commozione, questa notizia che conferma quanto sia essenziale muoversi insieme verso obiettivi condivisi, dalla base alle Istituzioni. Grazie a tutti coloro che hanno dato fiducia alla nostra caparbietà, sicuri di quanto l’obiettivo sia giusto, nobile e percorribile».

«Siamo molto soddisfatti – ha dichiarato Andrea Saccucci, avvocato dello Studio Saccucci & Partners, che ha supportato Bellini nella presentazione del ricorso –. Dopo anni di attesa, la necessità di prevedere un quadro legislativo di protezione e supporto per i caregivers familiari è stata finalmente riconosciuta al massimo livello internazionale e non potrà essere più ignorata dal Governo e dal Parlamento italiano». «La decisione del Comitato ONU – ha commentato ancora Saccucci – si aggiunge ai reiterati moniti della nostra giurisprudenza costituzionale, la quale ha da tempo sottolineato come la cura delle persone con disabilità in ambito familiare sia in ogni caso preferibile e più rispondente ai principi costituzionali e richieda l’adozione di interventi di sostegno, anche economico, in favore dei familiari che svolgono tale ruolo fondamentale di assistenza». (Simona Lancioni)

 

* L’articolo 28, paragrafo 2, lettera c) della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità impegna gli Stati parti a riconoscere il diritto delle persone con disabilità alla protezione sociale ed al godimento di questo diritto senza alcuna discriminazione fondata sulla disabilità, e ad adottare misure adeguate a tutelare e promuovere l’esercizio di questo diritto, ivi incluse misure per «garantire alle persone con disabilità e alle loro famiglie, che vivono in situazioni di povertà, l’accesso all’aiuto pubblico per sostenere le spese collegate alle disabilità, includendo una formazione adeguata, forme di sostegno ed orientamento, aiuto economico o forme di presa in carico».

 

Vedi anche:

CONFAD – Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità.

Italia: Secondo il Comitato delle Nazioni Unite, la mancanza di sostegno finanziario e sociale alle famiglie delle persone con disabilità è stata una violazione dei diritti umani, comunicato pubblicato nel sito delle Nazioni Unite, 5 ottobre 2022.

Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità, Opinioni adottate dal Comitato ai sensi dell’articolo 5 del Protocollo opzionale, in merito alla comunicazione n. Comunicazione n. 51/2018, 3 ottobre 2022.

 

Ultimo aggiornamento il 10 Ottobre 2022 da Simona