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E se i caregiver non ci fossero davvero?

E se i caregiver non ci fossero davvero? Si intitola così il report che sintetizza i risultati di “Ho diritto a …”, una campagna online rivolta ai e alle caregiver volta a promuoverne i diritti, la salute, la qualità della vita e la visibilità, realizzata da Cittadinanzattiva Emilia-Romagna, in collaborazione con Coordinamento regionale delle Associazioni dei malati cronici e rari (CrAMCR). L’iniziativa ha coinvolto 200 caregiver che hanno espresso i propri bisogni ed inviato le proprie testimonianze.

 

La copertina del report “E se i caregiver non ci fossero davvero?” di Cittadinanzattiva Emilia-Romagna contiene gli estremi della pubblicazione ed è illustrata con il disegno di una caregiver che parla col megafono.

Si è conclusa “Ho diritto a …”, una campagna online rivolta ai e alle caregiver volta a promuoverne i diritti, la salute, la qualità della vita e la visibilità, realizzata da Cittadinanzattiva Emilia-Romagna, in collaborazione con Coordinamento regionale delle Associazioni dei malati cronici e rari (CrAMCR). L’iniziativa ha coinvolto 200 caregiver che hanno espresso i propri bisogni ed inviato le proprie testimonianze. I suoi risultati sono stati sintetizzati in un rapporto di ricerca a cura di Rossana Di Renzo e Marilena Vimercati dal significativo titolo E se i caregiver non ci fossero davvero? (pubblicato nel novembre 2020), in una infografica, ed in una serie di dieci podcast pubblicati su un apposito canale YouTube che raccontano le storie di diritti negati come scaturite da alcune testimonianze raccolte.

Uno degli obiettivi dichiarati dell’iniziativa è anche quello di promuovere l’approvazione del Disegno di Legge A.S n. 1461 (Disposizioni per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare), di cui è prima firmataria la senatrice Simona Nocerino, ma che è sottoscritto da tutte le forze politiche. Infatti, sebbene l’Emilia-Romagna sia stata la prima Regione a dotarsi di una propria normativa sulla materia (Legge Regionale dell’Emilia-Romagna 2/2014), manca ancora una disciplina nazionale pur essendo stato istituito un Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare (nella cosiddetta Legge di Bilancio per il 2018, Legge 205/2017, articolo 1, comma 254), con una dotazione di 20 milioni ripartiti alle Regioni solo all’inizio del 2021 con linee di indirizzo alquanto vaghe (Decreto del 27 ottobre 2020, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 22 gennaio 2021).

Il report è strutturato in due parti: una dedicata all’esplorazione del fenomeno del caregiving con particolare attenzione al contesto italiano, l’altra a illustrare i risultati della campagna.

Riprendendo alcuni dati pubblicati sul «Quotidiano Sanità» (che fanno riferimento ad un’indagine Istat del 2015), in Italia in media il 17,4% della popolazione, oltre 8,5 milioni di persone, è caregiver, e di questi il 14,9%, quasi 7,3 milioni, si prende cura di un/a familiare. Il 74% sono donne. Di queste il 31% ha un’età inferiore ai 45 anni, il 38% ha un’età tra i 46 e i 60 anni, il 18% tra i 61 e i 70 anni, e il 13% oltre i 70 anni. Il 60% di loro ha dovuto lasciare il lavoro fuori casa per dedicarsi a tempo pieno alla cura di un familiare non autosufficiente (in media 7 ore al giorno di assistenza diretta e 11 ore di sorveglianza). Molti caregiver sono anziani e malati a loro volta pur prendendosi cura dei propri congiunti. Sono infine 169 mila i giovani caregiver, di età compresa tra i 15 e 16 anni, che dividono il loro tempo tra scuola e lavoro di cura rischiando di essere emarginati dai compagni e l’isolamento sociale ed emotivo. Dalla stessa indagine risulta che in Emilia-Romagna i caregiver familiari sono 289.000, e che di questi 13.250 sono giovani caregiver di età compresa tra i 15 e i 24 anni.

Dei 200 caregiver che hanno aderito all’iniziativa l’86% sono donne (madri, figlie, sorelle, mogli/compagne) che da più o meno anni si prendono cura di un familiare con risvolti penalizzanti sul lavoro retribuito, per coloro che riescono a mantenerlo, ma anche sulla gestione familiare complessiva. Solo il 14% sono uomini e si occupano di una moglie, di un figlio o di un genitore anziano. Sul fronte delle persone che ricevono assistenza abbiamo la seguente distribuzione nel 40% la persona assistita è un genitore, nel 37% un figlio o una figlia, nel 10% un coniuge, nell’8 un fratello o una sorella, nel 5% altro.

I caregiver svolgono la loro attività di cura gratuitamente e per lunghi periodi nei confronti di persone con disabilità o persone interessate da patologie croniche o degenerative. In relazione alle diverse situazioni svolgono mansioni diverse ma tutte rilevanti nel migliorare la qualità della vita delle persone di cui si prendono cura. Tra le queste attività figurano la collaborazione all’assistenza durante l’ospedalizzazione, parlare con i medici, disbrigare pratiche burocratiche, supporto all’insegnamento, occuparsi della famiglia, interfacciarsi con il medico di base e con la rete sociosanitaria, provvedere all’alimentazione e all’igiene personale, supportare la mobilità e facilitare le relazioni familiari e sociali.

Queste alcune delle istanze emerse. Il 100% dei caregiver chiede l’approvazione del citato Disegno di Legge n. 1461; per il 90,8% dei caregiver la burocrazia rappresenta “una montagna sulle spalle”, un ostacolo trasversale ai diversi ambiti in cui si trovano ad agire e districarsi al suo interno si configura come un lavoro aggiuntivo ripeto a quello già impegnativo di prestare assistenza.

Più che aiuti economici, chiedono servizi e informazioni: il 64% assistenza nella quotidianità, il 25% informazione e orientamento, il 11% formazione; il riconoscimento giuridico ed economico dell’attività di assistenza significa la legittimazione di diritti pensionistici e agevolazioni per conciliare tempo di lavoro e tempo della cura: per il 42% significa poter conseguire una pensione, per il 34% ricevere un contributo economico, per il 24% avere agevolazioni per il lavoro. Lo 0.4% dei giovani caregiver chiede l’equiparazione della propria condizione a quella degli studenti lavoratori.

Il 28,5% dei caregiver chiede più tempo per sé. La tematica del tempo inteso sia come quotidianità sia come futuro è molto presente sia in termini espliciti che impliciti nel 14.1% dei racconti dei caregiver adulti e nello 0.8% di quelli dei giovani. Racconta una caregiver: «Gli anni passano (siamo oltre i 70 anni), mio marito è sempre meno autonomo, io perdo sempre più forza e morale, ti rendi conto che non c’è via d’uscita», e un’altra «Vorrei che mio figlio terminasse la sua vita un po’ prima della mia affinché possa anch’io chiudere gli occhi serena». Alcuni caregiver giovani temono di non aver un futuro: «La tua vita finisce lì, i tuoi sogni esplodono in mille schegge che fanno male. Avrò un futuro?», «Spesso guardo fuori dalla finestra e vedo persone camminare, parlare, abbracciarsi e mi chiedo avrò anch’io queste possibilità? Poi guardo la mia stanza e sento rumori familiari e capisco che per ora questa è la mia vita. Non sono felice, ma so che sono importante nella vita di mia madre».

In molte testimonianze è presente il tema della solitudine spesso associata a poter contare su una rete solidale. Molti segnalano l’abbandono sia da parte delle istituzioni, sia del loro gruppo di persatela, che spesso non comprende le difficoltà o se ne vuole liberare. Una delle richieste frequenti è quella di rafforzare le reti di caregiver presenti sul territorio per avere momenti di confronto e conforto reciproci. È necessario occuparsi dei caregiver anche quando la persona cara non c’è più, per aiutarli a riannodare i fili dell’esistenza.

In tutto questo anche le associazioni possono fare molto per far sentire i caregiver meno soli ed accrescere la sensibilità collettiva rispetto alle loro istanze.

Ci piace concludere questa breve presentazione con questo passaggio del rapporto di ricerca: «Oggi ci si occupa del lavoro di cura informale solo quando l’impegno e la gravosità sono tali da provocare una sistematica violazione dei diritti umani di chi lo svolge: diritto di avere tempo per sé stessi, mantenere l’occupazione, riposarsi, curarsi in caso di malanno o malattia, avere una vita di relazione e, eventualmente, coltivare un interesse. Ciò significa tamponare le possibili degenerazioni di questa attività, senza tuttavia incidere sull’impostazione familistica del nostro welfare, quella che considera il lavoro di cura un affare di famiglia, e, all’interno della famiglia, delle donne. La cura, tuttavia, è parte dell’umanità e riguarda uomini e donne, ragazzi e ragazze; nessuno ne è escluso». (Simona Lancioni)

 

Per approfondire:

Cittadinanzattiva Emilia-Romagna.

E se i caregiver non ci fossero davvero?, a cura di Rossana Di Renzo e Marilena Vimercati, Cittadinanzattiva Emilia-Romagna, novembre 2020, infografica e podcast pubblicati su YouTube con alcune delle testimonianze raccolte.

 

Data di creazione: 30 Novembre 2021

Ultimo aggiornamento il 3 Dicembre 2021 da Simona