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Felice Tagliaferri, lo scultore che rende l’arte accessibile dando forma ai sogni

Intervista a Felice Tagliaferri a cura di Simona Lancioni

Felice Tagliaferri è uno scultore cieco di fama internazionale che a partire dal 1998 ha intrapreso un percorso artistico personale sintetizzabile con l’espressione, da lui stesso utilizzata, “Dare forma ai sogni”. Ci sono gli artisti e ci sono i Maestri. Tagliaferri appartiene sicuramente al secondo gruppo, non solo e non tanto per i suoi numerosi titoli e le tante opere d’arte figurativa realizzate (sebbene contino anche questi), ma per ciò che riesce a trasmettere con le sue realizzazioni e con i laboratori didattici che tiene nelle scuole di ogni ordine e grado: l’idea che l’arte possa e debba essere accessibile a tutti e a tutte sia nel processo creativo che nella fruizione. Tagliaferri abita in provincia di Cesena e collabora con i Musei Vaticani, il Museo Tattile Statale Omero, l’Accademia di Brera, l’Accademia di Roma, la Collezione Guggenheim di Venezia e l’Università di Dublino; è docente nel programma di Diploma post-laurea in Architettura “Building Beauty”; ha condotto il laboratorio di arte partecipataUn’Europa senza barriere: costruiamola insieme!”, organizzato dal Parlamento Europeo in Italia, in cui ha guidato un gruppo di 150 persone con disabilità nella realizzazione della scultura “L’Europa che vorrei”; è direttore del corso “Il senso dei sensi” di Verona. E queste sono solo alcune delle cose che ha svolto e che svolge. Per conoscerlo meglio, lo abbiamo intervistato.

 

Un’immagine del Maestro Felice Tagliaferri che studia con le mani la “Pietà” di Michelangelo Buonarroti, l’opera a cui si è ispirato per realizzare la scultura “Nuovo sguardo”, meglio nota come “Pietà ribaltata”.

Maestro, vuole raccontaci com’è avvenuto il suo incontro con l’arte e perché, tra le tante arti, ha scelto di esprimersi attraverso la scultura?
«Nel ‘97 uno scultore di Bologna, Nicola Zamboni, all’epoca docente dell’Accademia di Brera, ha chiesto alla sezione locale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti (UICI) di individuare tre o quattro persone cieche disponibili ad aiutarlo a verificare se queste, opportunamente formate, fossero in grado di realizzare sculture di cose conosciute, oggetti di uso quotidiano come una macchinetta del caffè, uno spazzolino, un dentifricio. L’esperimento riuscì benissimo, e le persone coinvolte, tra cui io, riuscirono a concretizzare il compito assegnato. Zamboni stava per andarsene quando, da judoisti quale eravamo entrambi, ci siamo presi per il collo ed io gli ho intimato di tenermi con sé per imparare a dare forma alle mie immagini. A quel punto, poiché con la dolcezza si ottiene tutto, lui ha deciso di prendermi nel suo laboratorio a fare il suo “manovale”, dandomi così modo di sperimentare tutti i passaggi dell’arte. Un giorno nel suo laboratorio è arrivato un critico d’arte, ha visto i miei lavori e, non sapendo che li avevo fatti io, ha espresso il suo apprezzamento e ha proposto di fare una mostra. Quando ha scoperto che li avevo fatti io, che ero non vedente, è rimasto molto sorpreso. In occasione della mostra, senza rivelare la mia disabilità, ho venduto due pezzi… lì mi sono gasato e dopo non mi ha più fermato nessuno.»

Negli ultimi anni l’attenzione al tema dell’accessibilità dei beni culturali è cresciuta notevolmente, ma sovente essa si concentra sul versante della fruizione delle opere, mentre una parte consistente della sua attività è finalizzata ad insegnare alle persone con disabilità ad esprimersi attraverso l’arte. Come viene recepito questo messaggio?
«Il messaggio viene recepito molto bene, anche perché io non insegno a persone con disabilità ma a persone con le più diverse caratteristiche. Nei miei gruppi ci sono persone disabili e non, persone di tutte le età, dal bimbo di otto anni sino all’anziano di novantanove. Alla fine, utilizzando un linguaggio comprensibile a tutti, vengono trasmesse delle nozioni che permettono ai partecipanti di fare le stesse cose. L’unica differenza può riguardare i tempi di realizzazione, c’è chi ha bisogno di mezz’ora, chi di un’ora, chi di due. Ciò che insegno loro è che non è importante il risultato finale, ma il “come si sta” mentre si fanno le cose.»

Una delle sue opere più interessanti e più note è certamente il “Cristo RiVelato”, una rielaborazione della scultura di Giuseppe Sanmartino, il “Cristo velato”, esposta nella Cappella Sansevero a Napoli. Del “Cristo RiVelato” si è occupata anche l’agenzia di stampa britannica Reuters con un articolo che è stato tradotto in 34 lingue, e che ha dato all’opera e a lei una fama mondiale. Ci racconta qualcosa di quest’opera?
«Il “Cristo rivelato” nasce come una denuncia, perché non mi hanno dato la possibilità di toccare il “Cristo velato”. Ero a Napoli assieme ad altre persone del Museo Omero per presentare una mostra e abbiamo approfittato dell’occasione per visitare il “Cristo velato”, ma non me l’hanno fatto toccare. Siamo usciti fuori arrabbiati e Massimiliano Trubbiani, un operatore del Museo Omero, un po’ scherzando mi ha detto “Felice, io se fossi in te lo rifarei”. Ho pensato che fosse un po’ matto dal momento che mi avevano descritto la complessità dell’opera. Tuttavia dopo tre mesi questo rifiuto mi macerava nello stomaco, al che sono andato al Museo Omero, mi sono chiuso tre giorni in una stanza con Massimiliano Trubbiani, mi sono fatto descrivere il “Cristo velato” centimetro per centimetro, perché chi vede con gli occhi vede l’insieme e solo successivamente coglie i dettagli, mentre chi vede con le mani parte dai dettagli, poi li mette insieme come se stesse costruendo un puzzle, e solo così ricostruisce l’immagine globale. Dopo i tre giorni che mi sono fatto descrivere minuziosamente il “Cristo velato”, abbiamo fatto un piccolo bozzetto in creta di trenta centimetri, poi ho comprato quatto tonnellate di marmo e mi sono messo a lavorare. Dopo due anni, nel 2010, è il “Cristo RiVelato” era pronto. “RiVelato” nel doppio significato di “velato per la seconda volta” e “svelato ai non vedenti”. Oggi, dopo aver girato tutta l’Italia, si trova nella Chiesa San Giovanni di Parma, dove rimarrà sino a dicembre 2021.»

Immagine del “Cristo RiVelato” di Felice Tagliaferri, scultura in marmo bianco del 2010. Esso riproduce a grandezza naturale la figura intera di un Cristo deposto dalla croce e adagiato su un materasso, con la testa sorretta da due cuscini sovrapposti. La figura di Cristo si intravvede sotto un velo di cui è riprodotto il panneggio. Vicino ai piedi sono presenti diversi oggetti: le tenaglie utilizzate per levare i chiodi, qualche chiodo e una corona di spine.

L’opera “Nuovo sguardo”, opera meglio nota col nome di “Pietà ribaltata”, è una sua rielaborazione della celebre “Pietà” di Michelangelo Buonarroti. In essa un giovane Gesù seduto tiene in grembo una Madonna col viso di una bambina, il corpo di una donna e le gambe di una persona anziana. Che significato ha quest’opera e com’è stata accolta nelle sue diverse esposizioni?
«La scelta di realizzare una Madonna col viso di una bambina, il corpo di una donna e le gambe di una persona anziana ha il triplice significato che i genitori devono prendersi cura dei figli, che l’uomo deve prendersi cura della donna, e che i figli devono prendersi cura dei genitori. L’opera è nata nella mia mente poco prima del lockdown partendo da una riflessine su tutte le violenze che subiscono le donne. Dunque sono andato ai Musei Vaticani dove mi hanno permesso di toccare la “Pietà” di Michelangelo, quindi ho creato sul posto un laboratorio dove ho iniziato a lavorare ad una scultura che chiaramente avrebbe richiamato quella di Michelangelo, ma doveva anche distinguersi da essa. Purtroppo, a causa della pandemia, è stata esposta poco. È stata esposta due mesi a Montaione, un comune della città metropolitana di Firenze, dieci giorni a Parma, che nel 2020 è stata nominata Capitale italiana della Cultura, quindi l’ho riportata a casa. Le poche persone che l’hanno vista sono rimaste stravolte dal messaggio che essa esprime. Devo aggiungere anche che la parte posteriore della scultura è stata volutamente lasciata grezza (non lavorata). Ciò allo scopo di comunicare che il compito di completare l’opera spetta a tutte le persone, alle persone maltrattate e alle persone che maltrattano. Infatti, secondo me perché ci sia un vero cambiamento nella società tutti quanti dobbiamo fare qualcosa e sentirci responsabili

Immagine del “Nuovo Sguardo”, opera meglio nota col nome di “Pietà ribaltata”, di Felice Tagliaferri, scultura in marmo bianco del 2020. Essa e liberamente ispirata alla “Pietà” di Michelangelo Buonarroti e raffigura un giovane Gesù, seduto e vestito con una tunica, che tiene in grembo una Madonna col viso di una bambina, il corpo di una donna e le gambe di una persona anziana.

Nella sua “Sacra Famiglia” – che avrebbe dovuto essere presentata lo scorso anno all’Istituto degli Innocenti di Firenze, ma la cui presentazione è stata rinviata a causa della pandemia – davanti al Padre e alla Madre c’è un Figlio con la sindrome di Down. Che massaggio vuole esprimere quest’opera?
«Gesù è posto dinnanzi a Giuseppe e Maria, e nell’opera il padre indica col dito il figlio per comunicare che è Lui il suo successore. È una Sacra Famiglia come le altre, ma il bambino, che ha circa nove-dieci anni, presenta nel viso i tratti tipici della sindrome di Down. L’opera vuole comunicare che qualunque bambino arrivi nella nostra vita porta gioia. Io stesso sono stato figlio, e adesso sono un padre ed un compagno. Il fatto che una persona abbia una disabilità non cambia niente, nel senso che l’amore che si prova per un bambino, per un adulto, per una persona, è sempre amore. Chi più di un bambino con sindrome di Down, con l’amore che ha da dare, può essere la nostra guida? La scelta di fare riferimento all’arte sacra mi deriva dal fatto di essere cresciuto in un paese di mille anime, e le immagini artistiche presenti nelle case di questo piccolo paese erano tutte immagini di santi. Dunque io sono scresciuto con l’idea che l’arte fosse quella che rappresenta il sacro.»

Sovente nella sua arte lei fa ricorso al ribaltamento o comunque alla rottura di qualche stereotipo: il Cristo velato che si svela, una Pietà che comunica amore e accoglienza, una Sacra Famiglia con un Figlio con disabilità. In che modo il fatto di essere un artista con disabilità ha influito sulla scelta di questo approccio?
«In questo caso il fatto di essere disabile rappresenta una fortuna, perché mi consente di esprimere cose che a persone senza disabilità non sarebbe consentito esprimere. Se un’opera come la Sacra Famiglia con un Gesù con la sindrome di Down l’avesse realizzata una persona senza disabilità, molto probabilmente l’avrebbero accusata di strumentalizzazione. Il fatto di essere disabile influisce sul mio modo di vedere le cose, che spesso è diverso da quello di chi non ha una disabilità.»

So che lei è un vulcano di idee, vuole anticipare qualcosa delle sue prossime iniziative?
«In questo momento sto realizzando una Santa Lucia da esporre in una località vicino a Siracusa. Essa sarà posizionata in modo che tutte le persone la possano toccare, e dunque è accessibile anche a chi non vede. Inoltre la settimana prossima sarò a Milano al Festival delle abilità dove prevedo di coinvolgere le persone che interverranno nella realizzazione di una scultura globale, inclusiva, di un oggetto che chiunque ha usato, ossia una ruota di pietra di cinquanta centimetri di diametro. La ruota è un oggetto che usiamo tutti: la usano le persone in sedia a rotelle, la usa chi va al lavoro in macchina, in biciletta o in motorino, la usa il bambino che va in giro col triciclo, la usa la persona anziana che va in giro col deambulatore, ed è dunque un oggetto inclusivo a tutti gli effetti. A settembre uscirà anche un cortometraggio che ho realizzato in Sicilia con Danilo Ferrari, che è una persona tetraplegica che non comunica verbalmente, comunica solo con gli occhi. Che una persona non vedente e una persona che non usa la parola possano interagire è impensabile fino a quando qualcuno non ci prova e ci riesce. Noi ci siamo incontrati e abbiamo realizzato una scultura in creta del volto di Danilo. Successivamente questa scultura è stata buttata in mare, e, tornato a casa e ne ho realizzato un’altra identica in marmo. Questo è stato fatto per dimostrare che se guardi qualcosa con gli occhi non sei in grado di riprodurla anche perché la memoria visiva passa, ma se tocchi qualcosa con le mani invece te quella cosa te la ricordi. Questa storia, oltre che essere raccontata nel cortometraggio, sarà anche documentata in un libro sul mio percorso artistico che verrà pubblicato prossimamente dall’Università di Tor Vergata di Roma. Oltre a ciò continuo a lavorare alla “Chiesa dell’Arte”, una scuola di arti plastiche itinerante inaugurata nel 2004 da Candido Cannavò

 

Per approfondire:

Sito personale del Maestro Felice Tagliaferri.

 

Ultimo aggiornamento il 3 Settembre 2021 da Simona