È stato istituito presso l’ufficio di stato civile del comune di Reggio Emilia il “Registro dei progetti esistenziali di vita”, un registro pubblico nel quale è possibile annotare preferenze, desideri, aspirazioni e aspetti legati ai sentimenti e alla quotidianità delle persone con disabilità che non trovano spazio in altri strumenti, già normati, utilizzati per gestire questioni meno legate alla sfera intima ed esistenziale delle persone stesse.
È stato istituito presso l’ufficio di stato civile del comune di Reggio Emilia il “Registro dei progetti esistenziali di vita”, un registro pubblico nel quale è possibile annotare preferenze, desideri, aspirazioni e aspetti legati ai sentimenti e alla quotidianità delle persone con disabilità che non trovano spazio in altri strumenti, già normati (come, ad esempio, il “progetto individuale” previsto dall’articolo 14 della Legge 328/2000), utilizzati per gestire questioni meno legate alla sfera intima ed esistenziale delle persone stesse. Le cure, l’assistenza, lo studio, il lavoro, l’abitare, ecc. sono aspetti fondamentali per la vita di tutte le persone, e dunque anche di quelle con disabilità, tuttavia ciò che dà “sapore” alla vita sono spesso i desideri, i sentimenti, i gusti ed una serie di altre istanze molto personali e, appunto, esistenziali che le persone con disabilità (specie quelle con situazioni più severe e complesse) potrebbero avere difficoltà ad esprimere, ma che andrebbero comunque rilevate e rispettate.
Quella posta in essere a Reggio Emilia è, ameno per ora, una sperimentazione unica a livello nazionale, della quale è possibile leggere in un recente articolo pubblicato online sulla testata «Internazionale» (Adriana Belotti, Un progetto per difendere i desideri delle persone con disabilità, «Internazionale», 27 gennaio 2021). Anche se al momento i progetti redatti sono solo una decina, è stato stimato che la sperimentazione possa interessare circa 700 persone e relative famiglie. Ma l’ambizione non si ferma qui, infatti, nella prospettiva di promuovere l’istituzione del registro in tutto il Paese, è stata predisposta una specifica Proposta di Legge firmata da Paolo Cendon, giurista e professore ordinario di diritto privato all’Università di Trieste, il cui nome è legato alla promozione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno (introdotto nell’ordinamento giuridico italiano e disciplinato dalla Legge 6/2004).
L’idea di istituire il registro è maturata nell’ambito di “Reggio Emilia città senza barriere”, un’iniziativa finalizzata a «contribuire al superamento delle barriere architettoniche (tutto ciò che ostacola la mobilità ed l’accessibilità di ogni persona con disabilità: fisica, sensoriale, mentale) e mentali (cioè gli ostacoli di natura comportamentale e culturale, spesso prima causa di emarginazione e stigmatizzazione sociale) realizzando un nuovo modo di pensare la città “per” e “con” la disabilità», si legge nella pagina di presentazione.
Questi invece i soggetti che hanno collaborato alla realizzazione del registro: l’amministrazione comunale, le Farmacie Comunali Riunite (FCR), l’Ausl, la Fondazione Durante e dopo di noi di Reggio Emilia, il già citato Paolo Cendon e la sua associazione Diritti in movimento.
Vediamo meglio alcuni dettagli. Possono redigere un proprio progetto esistenziale di vita (PEV) ed inserirlo nel registro le persone maggiorenni ed in possesso della certificazione di handicap (ai sensi della Legge 104/1992). In esso possono essere incluse informazioni inerenti ai seguenti ambiti: affettivo-relazionale, lavorativo, abitativo, culturale, eccetera. Nella stesura del progetto la persona con disabilità (o un’altra figura legittimata a rappresentarla, come l’amministratore/trice di sostegno, un curatore o una curatrice, un tutore o una tutrice) è supportata da un accompagnatore appositamente preposto a prestare aiuto. In un ulteriore passaggio, il progetto è esaminato da una commissione composta da tre figure con competenze legali, psicosociali, medico-sanitarie. Terminato l’iter, il progetto è inserito nel registro ubicato presso gli uffici dell’anagrafe, e dovrà essere preso in considerazione in tutti quei casi nei quali le persone che abitualmente si prendono cura della persona con disabilità sono impossibilitate a continuare a farlo, e chi deve subentrare nel supporto deve apprendere quali sono le abitudini, i desideri, la volontà e l’idea di libertà della persona con disabilità in questione.
Perché il sistema funzioni è necessario che queste informazioni vadano rilevate quando chi si prende cura della persona con disabilità è ancora in grado di supportarla, che esse corrispondano alla volontà della persona disabile e non a quella di chi presta assistenza (giacché le due volontà potrebbero non coincidere), e che sia sempre possibile aggiornarle visto che, con l’avanzare dell’età, e con il mutare delle circostanze e delle proprie condizioni, la persona con disabilità potrebbe avere esigenze e desideri differenti in momenti deversi della propria vita. Un concetto ben esemplificato da Enza Grillone, presidente della Fondazione Durante e dopo di noi, e madre di una donna di quarantasette anni con una disabilità complessa, quando osserva: «ciò che piaceva a mia figlia a vent’anni non è ciò che le piace ora, e bisogna tenerne conto».
«Il PEV nasce dalla Legge sul Dopo di noi, del 2016. Esisteva già una Legge in Italia, la 328 del 2000, che parla di ‘progetto individuale’», ha spiegato Cendon. «Però è stata sempre vista come un progetto di tipo lavorativo o residenziale. Naturalmente sono cose importanti ma per me l’essenziale, per una persona che ha bisogno di essere aiutata, è il progetto di vita di tipo sentimentale, esistenziale, personale, quotidiano, affettivo… Tutti questi aspetti sono la chiave di volta dell’esistenza. La Legge sul Dopo di noi parla per lo più di aspetti patrimoniali, burocratici, fiscali, non menziona l’essenziale per proteggere il disabile spaventato dal rischio di restare orfano. Non si dice niente su questi aspetti ‘liquidi’ della sua vita».
Quali siano gli aspetti ‘liquidi’ della vita, si rileva in modo abbastanza chiaro dalla riflessione espressa da Annalisa Rabitti, assessora alla cultura, alle pari opportunità e alla città senza barriere del comune di Reggio Emilia, la quale ha rilevato come «si è spesso rappresentati e ‘interpretati’ da familiari, specialisti, professionisti che sanno tutti cosa è bene e giusto per te, qual è la terapia. Parlando di disabilità abbiamo pensato al diritto, al desiderio delle piccole cose, per esempio scegliere di poter andare al mare e non al lago, fare colazione con uno yogurt invece che con un budino, eccetera». E prosegue: «tutte queste cose, che per una persona sembrano normali, scontate, per persone con disabilità grave che magari non possono esprimere le proprie opinioni – sia perché hanno dei ritardi cognitivi sia per altre difficoltà – non lo sono. La domanda che ci siamo fatti è: cosa succede a una persona con disabilità quando resta sola? Quando non riesce a esprimere tutti questi piccoli desideri o ‘informazioni affettuose’ – le abbiamo chiamate così – che soltanto chi conosce bene questa persona conosce?»
Quando si parla di persone con disabilità si indugia, giustamente, sui diritti, ed è chiaro che dai diritti non si può prescindere. E tuttavia una lettura solo giuridica dell’esistenza rischia di essere riduttiva e insufficiente se taglia fuori i sentimenti, i gusti e i desideri e tutte quelle cose che solitamente danno senso alla vita. L’istituzione del “Registro dei progetti esistenziali di vita” va a colmare questa importante lacuna e costituisce un’ulteriore tappa verso l’uguaglianza sostanziale delle persone con disabilità. (Simona Lancioni)
Ultimo aggiornamento il 29 Gennaio 2021 da Simona